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Montanelli colonialista e patriarcale: il gesto di Non Una di Meno è stato un atto di giustizia

Imbrattata con vernice rosa la statua del giornalista Indro Montanelli nel giardino a lui dedicato durante il corteo dell'8 Marzo, Milano, 08 marzo 2019. Credit: ANSA/FLAVIO LO SCALZO

L'opinione. Le femministe che hanno imbrattato la statua del giornalista a Milano hanno preso di mira il simbolo di una visione patriarcale dei rapporti e una visione colonialista della storia

Di Marta Facchini
Pubblicato il 11 Mar. 2019 alle 18:51 Aggiornato il 18 Apr. 2019 alle 09:27

“Ma in Africa è un’altra cosa”. Con un cavallo, un fucile, cinquecento lire si compra una bambina. Un accordo tra uomini e la dodicenne è sistemata in un “tucul”, una tenda. È “un animaletto docile e mi segue ovunque”, dichiara Indro Montanelli quando parla della sua esperienza in Africa durante le guerre coloniali. Non ha nemmeno un nome che la rende una soggettività, che la possa identificare. È solo un corpo, la bambina eritrea “sposata” dal giornalista italiano.

“Era una bellissima ragazza bilena di dodici anni, scusatemi, ma in Africa è un’altra cosa. Così, l’avevo regolarmente sposata, nel senso che l’avevo comprata dal padre. Mi ha accompagnato insieme alle mogli dei miei ascari”, racconta nel programma di Gianni Bisiach L’ora della verità. Non c’è autocritica sul volto del giornalista, più autocompiacimento.

In quel salotto televisivo, a riportare Montanelli alle sue responsabilità è la giornalista, scrittrice e femminista Elvira Banotti che, con domande nette, fa presente che non si era trattato di un matrimonio ma di uno stupro. Una violenza, certo non la sola, di un potere bianco e maschile che vuole rimarcare una condizione di subalternità con l’altro, in questo caso anche una donna. Sullo schermo va in scena un conflitto a due: una mentalità colonialista, la presunta missione di civilizzazione fascista nelle colonie, contro un tentativo di rimarcare le responsabilità, individuali e collettive, nel continente africano.

Ma si assiste anche a un altro conflitto: femminismo contro patriarcato. Non è un caso che nel famoso frammento della trasmissione, ora di nuovo in circolazione, si senta a margine una voce maschile che ironizzando, quasi a banalizzare, dice: “è forse un problema delle donne della vostra generazione” stare là a polemizzare, a fare valere una critica, a produrre pensiero. Se lo facciamo siamo isteriche, pazze, dobbiamo essere rimesse al nostro posto.

Come le parole di Elvira, anche quella delle femministe di Non Una Di Meno a Milano è stata una rivendicazione politica e personale. Ricoprire di vernice rosa, e lavabile, la statua del giornalista è stato un gesto di giustizia. Montanelli non è stato preso di mira in quanto Montanelli, ma come icona di un establishment culturale troppo poco messo in discussione. È stato, quello di Milano, uno scontro tra simboli: la vernice rosa ha colpito la rappresentazione dell’uomo bianco, occidentale, conservatore che non ha mai espresso un pensiero autocritico, né nei suoi confronti né verso un intero periodo storico (Angelo Del Boca ce l’ha insegnato nei suoi lavori colonialismo italiano in Africa). 

È stata presa di mira una visione patriarcale dei rapporti ma anche una visione colonialista della storia. Un momento, quello di Non Una Di Meno, che ha voluto ridare una presenza alle vittime della “avventura italiana” in Africa, alle tante Dastè, che questo era il nome della bambina dodicenne violentata da Montanelli. Un gesto per non dimenticare il passato coloniale, così evidentemente rimosso senza mai essere elaborato. È ancora qui, un presente non-detto, quando si sessualizza il corpo di una donna migrante, che si riconduce a merce, oggetto esotico da possedere. Quando l’altro diventa una minaccia, un diverso da riportare a una norma. La vernice rosa è stata gettata sui nervi scoperti della nostra storia.

La miopia – e, come è stato detto, non avere un senso dei processi storici – sta nel non riuscire a capirlo. Come penso sia miope e banalizzante non comprendere la portata di un movimento, plurale e transfemminista, che l’otto marzo in tutto il mondo ha portato in sciopero in piazza migliaia di donne per agire contro l’aggressione ai loro, ai nostri, diritti e autodeterminazione.

Come a dire: “Sì, ribellatevi, voi femministe del terzo millennio. Uscite in strada ma ve lo diciamo noi come e contro cosa dovete protestare”. Eccolo il patriarcato e, allora, evviva la vernice rosa.

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