Ora è ufficiale, si può scrivere: sul caso Cucchi, nel 2009, l’allora ministro dell’Interno Angelino Alfano ha mentito davanti al Parlamento perché la filiera di depistaggi messa in piedi dai carabinieri ha prodotto carte false a cui inconsapevolmente il ministro si è affidato.
Raccontano che nelle stanze della Procura di Roma il procuratore capo Pignatone e il pm Giovanni Musarò vogliano andare fino in fondo per scoprire le responsabilità di ogni singolo carabinieri, fino al più alto in grado, per capire esattamente cosa sia successo. E il processo sul depistaggio per la morte di Stefano Cucchi probabilmente riserverà altre sorprese.
TPI ne ha parlato con la sorella di Stefano, Ilaria Cucchi, che tenacemente da anni sta lottando perché emerga la verità.
La situazione è a dir poco disgustosa. Mette i brividi. Già dopo pochi minuti dalla morte di mio fratello si mettevano in moto terribili depistaggi che non solo abbiamo pagato noi come famiglia ma che hanno condotto lo Stato e la Giustizia a sperperare tantissimo denaro pubblico.
Del resto erano quelli i giorni dello scandalo Marrazzo e non ci si poteva fare carico di un ulteriore scandalo. Io so solo che ben 6 mesi prima i carabinieri scrivevano di fatto le conclusioni medico-legali che sarebbero poi state depositate sulla morte di mio fratello. E questo è indecente.
Tutte bugie basate sulle false testimonianze dei cinque carabinieri imputati nel processo-bis.
Sì, è in corso il Cucchi-bis grazie alla cura del dottor Pignatone, del pm Giovanni Musarò e della Squadra Mobile, in cui stanno emergendo tutte le verità sui depistaggi, ma il primo processo, quello che potremmo definire sbagliato, rimane ancora in piedi. Rimangono i medici come imputati, con la Cassazione che ha respinto entrambe le sentenze d’assoluzione d’appello, sebbene siano già maturati i tempi della prescrizione.
Le dico qualcosa che non sa nessuno: quel processo si regge in piedi solo per il Comune di Roma, che si è costituito parte civile. Noi ovviamente ce ne siamo andati e insieme a noi anche all’associazione Cittadinanza Attiva.
E quindi i carabinieri tifano per il primo processo. A giorni verrà depositata l’ennesima perizia. Ormai sono abituata a tutto: mio fratello è morto per le cause più bizzarre. Sono pronta a tutto. Nonostante la promessa che personalmente mi aveva fatto la sindaca di Roma, Virginia Raggi, il Comune di Roma non si tira indietro perché conta sul risarcimento economico che potrebbe ricavarne. Al Comune di Roma non importa nulla della giustizia e dei cittadini. Interessa solo il denaro.
Stiamo pagando non solo in termini di energie ma anche in termini economici. Pagheremo noi il Comune di Roma per il danno ricevuto dalla morte di mio fratello. A costo di andare a vivere sotto i ponti. Però di una cosa sono sicura: invierò una richiesta formale per conoscere gli atti presso il Comune. La sindaca Raggi un anno fa fece promesse mai mantenute. Il processo va avanti solo per il Campidoglio, altrimenti i medici rinuncino alla prescrizione, andiamo fino in fondo e accertiamo la verità. No?
Nulla. Vorrei solo vederla annunciare ufficialmente lunedì l’uscita da quell’assurdo processo rimasto in piedi solo grazie a lei.
Mai ricevuto nessuna convocazione da Salvini. Il problema, però, non è solo lui ma il suo messaggio e i tanti che gli credono. Un messaggio pericolosissimo, che non contempla il tema dei diritti umani e secondo cui c’è gente sacrificabile per vivere meglio. Se si legittima la privazione dei diritti degli altri domani arriveranno a toccare i nostri. Com’è capitato a noi.