Giovedì il governo italiano ha deciso di far rientrare in India i fucilieri Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, nonostante, appena una decina di giorni fa, il ministero degli Esteri avesse informato il governo indiano di non voler far tornare i marò entro la scadenza del permesso rilasciato dalla Corte suprema indiana. Il putiferio diplomatico scatenato dalla dichiarazione ha ora spinto l’esecutivo guidato da Mario Monti a un clamoroso dietrofront.
La vicenda ha inizio nel febbraio 2012 quando i due militari, in servizio di sicurezza a bordo della petroliera Enrica Lexie, aprirono il fuoco sul peschereccio St. Anthony giudicandola un’imbarcazione pirata in avvicinamento. Uccisero due marinai indiani, Jelestine Valentine e Ajesh Binki, di 45 e 25 anni.
Contro le rimostranze italiane, l’India ritenne che l’incidente fosse avvenuto in acque nazionali e i due fucilieri furono sottoposti a processo, prima nello Stato del Kerala poi a New Delhi. A dicembre hanno ottenuto un permesso per trascorrere in Italia le festività, dietro garanzia di 800mila euro. Una volta tornati in India, a febbraio è stato concesso loro un secondo permesso in occasioni delle elezioni politiche. L’11 marzo il ministero degli Affari Esteri ha informato il governo indiano di non avere intenzione di trasferire nuovamente i marò e di voler far svolgere in Italia il processo a carico di Girone e Latorre. La dichiarazione ha suscitato reazioni durissime in India, in particolare dal primo ministro Singh, il cui discorso al Parlamento indiano ha fatto temere per la possibile applicazione di sanzioni ai danni delle imprese italiane operanti nel Paese. Il culmine delle tensioni è stato raggiunto quando New Delhi ha imposto all’ambasciatore italiano Daniele Mancini il divieto di viaggiare fino al 2 aprile, per obbligarlo a rendere una testimonianza di fronte alla Corte suprema.
La revoca della precedente presa di posizione assunta dal ministero agli Affari Esteri è arrivata il giorno prima che scadesse il permesso dei due militari, rendendo di fatto vani tutti i commenti e le dichiarazioni resi nelle passate tre settimane. Mentre l’esecutivo indiano festeggia il successo politico resta l’immagine irrimediabilmente ammaccata della diplomazia italiana, restìa a pagare le conseguenze di scelte avventate.
Nei quotidiani di oggi è riportata la soddisfazione del ministro Terzi per aver gestito una situazione difficile ed essere riuscito ad ottenere il rispetto di alcune condizioni dalle controparti indiane, tra cui la non condannabilità a morte degli imputati. Tuttavia in India l’imposizione della condanna capitale è possibile solo in casi “rarissimi” (“rarest of rare cases” secondo una sentenza della Corte suprema), ai quali il caso del peschereccio non è riconducibile, a prescindere da qualsiasi accordo. Piuttosto, i retroscena parlano di forti malumori all’interno del governo dimissionario per le conseguenze della scelta di Terzi, costringendo il ministro a un dietrofront.
In una conferenza stampa Salman Kuìrshid, ministro degli Esteri indiano, esprimendo la sua soddisfazione per l’esito della vicenda, ha chiarito anche che Latorre e Girone non saranno arrestati al loro ritorno.