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Il mercato di Piazza Vittorio

Il New York Times racconta il cuore della Roma multietnica

Di Simona Donini
Pubblicato il 12 Ago. 2013 alle 16:54

Pomodori e pesche italiane, basilico tailandese, riso basmati e carne halal. Un fornitore dell’Asia meridionale grida a un collega in italiano colloquiale. Nelle vicinanze, due suore indiane, indossando vesti bianche e blu, ispezionano alcuni prodotti. Una donna africana chiacchiera al cellulare, con un bambino piccolo in una fascia colorata sulla schiena.

Il mercato di Piazza Vittorio, cuore della Roma multietnica, dimostra come sia possibile “una coesistenza più facile attraverso il commercio” e offre un’immagine diversa, quella di un Paese che invecchia il cui futuro è quello di essere terra d’immigrazione.” Lo scrive Rachel Donadio sul New York Times, raccontando la realtà della piazza dove si svolge il Nuovo Mercato Esquilino.

“Il mercato è cambiato molto con l’immigrazione”, ha spiegato al Nyt Fausto Bonanni, 64 anni, da 40 anni gestore di un banco di verdura. “Prima c’è stata l’immigrazione interna, dal sud, dalla Calabria, dalla Puglia e dalla Sicilia. Poi con Wojtyla sono arrivati i polacchi. Negli anni Novanta è stata poi la volta di bengalesi, indiani e sudamericani, così come cinesi. Gli immigrati “vogliono lavorare e non hanno paura di fare lavori che altri non vogliono”, ha sottolineato il commerciante.

Il numero degli stranieri che risiedono legalmente in Italia è triplicato negli ultimi 10 anni, toccando i 4,3 milioni su una popolazione di 59 milioni, ricorda il Nyt. I gruppi più numerosi provengono da Romania, Albania, Marocco e Cina, ma le altre etnie sono in aumento.

Tuttavia, il Paese è ancora alle prese con la questione immigrazione, a fronte degli insulti rivolti ai calciatori provenienti dall’Africa e delle banane lanciate contro il primo ministro nero, l’italo-congolese Cecile Kyenge. “L’Italia è indietro rispetto a Francia e Germania sulla questione immigrazione e integrazione”, sottolinea il quotidiano americano. Difficoltà che si trasmettono alla vita quotidiana degli immigrati, per i quali l’ascesa sociale, in Italia, è ancora sconosciuta.

“La scrittrice Jhumpa Lahira, che vive a Roma, ha scritto su Repubblica che diversamente da quanto successo agli italoamericani con cui è cresciuta a Rhode Island, e che hanno salito la scala sociale ed economica, i bengalesi che ha incontrato a Roma hanno fatto l’esperienza opposta. “Dicono che trovano difficile crearsi una nuova vita qui. Benché siano qui già da tanti anni, si sentono ancora ai margini, appena tollerati, distaccati dal resto della società. I loro figli, nati e cresciuti in Italia, non sono cittadini italiani”. Secondo la legge italiana, i bambini nati nel Paese hanno la cittadinanza dei loro genitori.

È la storia di Jane Eke, nigeriana, venditore di patate e sacchi di riso a una bancarella al mercato, scoraggiato e mai sentito accettato dall’Italia. Sua figlia maggiore ha fatto la maturità a Roma. Ma per lei non c’è futuro in Italia. E si prepara a partire per il Regno Unito.

Ma se si torna al mercato di Piazza Vittorio, “la qualità supera la politica”.
”Piazza Vittorio è diventata una Chinatown, ma non mi importa – conferma un’ex infermiera, Isabelle Fontana, mentre fa la spesa tra i banchi – se la merce è buona, non importa se sia cinese, giapponese o francese”.

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