Nella notte tra il 28 e il 29 maggio scorso Alma Shalabayeva, moglie del dissidente kazako Ablyazov, è stata prelevata dalla sua abitazione e immediatamente estradata verso il suo Paese d’origine assieme alla figlia di sei anni. Secondo gli avvocati le due donne sono ora sottoposte all’elevatissimo rischio di trattamenti disumani, analoghi a quelli cui fu sottoposto il marito in patria.
Una sentenza del tribunale di Roma dichiara che il passaporto della moglie di Ablyazov non era falso – questo il pretesto per il rimpatrio- e che la donna è stata estradata dall’Italia senza attendere verifiche sul documento. “Lascia perplessi la velocità con cui si è proceduto al rimpatrio in Kazakistan della indagata e della bambina, congiunti di un rifugiato politico, in presenza di atti dai quali emergevano quantomeno seri dubbi sulla falsità del documento”.
La vicenda mette l’Italia al centro di un caso che può diventare una pesante accusa di violazione dei diritti umani da parte delle associazioni internazionali verso il governo italiano.
Ablyazov è considerato il principale oppositore del regime kazako, governato da 23 anni dal dittatore Nursultan Nazarbaev. Si presume che sia il principale finanziatore delle forze di opposizione al governo di Nazarbaev, tra cui i sindacati che lottano per le condizioni lavorative nel settore petrolifero, essendo molto attivo nel condannare le condizioni di lavoro degli operai.
Il Kazakistan è un Paese ricco di materie prime e strategico per gli interessi dell’Eni. La compagnia petrolifera italiana fa affari nel Paese dal 1992 come uno dei principali partner commerciali del regime. Nel 2010 il Daily Telegraph aveva riportato come il Kazakistan avesse minacciato il Regno Unito di chiudere i contratti con le compagnie britanniche se fosse stato concesso asilo politico ad Ablyazov, al tempo rifugiato a Londra.
Ablyazov a La Stampa ha sottolineato il valore politico della vicenda: “Il dittatore del Kazakistan voleva due ostaggi contro il suo maggiore oppositore politico. Ciò che abbiamo compreso ci porta a credere che sia stato un blitz del ministero dell’Interno in collaborazione con agenti di una dittatura ex sovietica. Quelli che in Italia avrebbero potuto bloccare il rapimento sono stati esclusi dall’operazione”.
Chi avrebbe dovuto farsi carico della vicenda è il Ministero degli Esteri, mentre l’operazione è stata gestita dal Ministero degli Interni. Emma Bonino, famosa per le sue battaglie per i diritti civili, si è limitata a definire l’episodio come “anomalo”. L’ex paladina dei radicali sarebbe stata tenuta all’oscuro di tutto e avrebbe riferito ai suoi collaboratori che il caso ha fatto fare una figura miserabile al governo italiano, che ha venduto due ostaggi a un governo straniero.