Simone, Roberto, Andrea avevano 21, 14 e 15 anni quando si sono tolti la vita. Sono vittime di un paese in cui essere gay significa soffrire: l’Italia.
Non li ha uccisi nessuno, ma qualcuno ha fatto loro abbastanza male da portarli a un gesto così disperato. Chi è stato non ha colpe perché, come ha scritto su Facebook un altro ragazzo suicida rimasto anonimo, “in Italia insultare un omosessuale non è reato”.
La discriminazione comincia quando si è piccoli e continua nel mondo degli adulti. Pochi anni fa un’insegnante dell’Istituto Sacro Cuore a Trento è stata licenziata perché sospettata di essere lesbica.
Ne hanno parlato i diretti interessati: nel 2014 93 mila membri della comunità Lgbt (lesbiche, gay, bisessuali e transgender) sono stati intervistati per un sondaggio condotto dall’Unione Europea
L’Italia risulta in fondo a tutte le classifiche quando si parla di libertà sessuale a scuola, sul posto di lavoro o al momento di accedere ai servizi.
In Italia l’omofobia è così diffusa che il 96 per cento degli intervistati lamenta di essere vittima di battute infelici e l’80 per cento pensa che gli italiani siano propensi a compiere gesti di odio e avversione nei loro confronti.
I politici sono percepiti come i più ostili, con il 91 per cento che considera offensive le loro dichiarazioni contro il 44 per cento della media europea.
Fin qui le parole. Poi c’è chi alza le mani: le aggressioni fisiche sono temute dal 69 per cento contro il 38 per cento del campione totale.
In Europa 1 persona su 3 si sente vittima di un trattamento discriminatorio, in Italia il 92 per cento.
L’unica alternativa resta nascondersi: per timore di molestie e minacce, il 72 per cento sceglie di non tenere la mano al proprio partner.
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