Leggi TPI direttamente dalla nostra app: facile, veloce e senza pubblicità
Installa
Menu
Home » News

I figli della ‘ndrangheta

Un programma del Tribunale dei minori di Reggio Calabria cerca di strappare i giovani dal mondo della criminalità organizzata

Di Elsa Pasqual
Pubblicato il 9 Ago. 2013 alle 17:53

Dal 2012, Roberto Di Bella, il presidente del tribunale per i minori di Reggio Calabria, sta sperimentando un programma educativo per evitare di far ripercorrere ai figli dei boss mafiosi la stessa strade dei padri.

La ‘ndrangheta è una presenza silenziosa ma fortemente presente nel territorio di Reggio Calabria. Controlla parte dell’economia calabra e non solo, ha creato una rete criminale a livello internazionale, gestisce uno dei più grossi traffici di eroina, ha influenza nella politica e nel tessuto sociale.

I valori, le tradizioni e i riti vengono tramandati di padre in figlio, cercando anche di coinvolgere altri ragazzi che vivono di espedienti. Molte figlie di criminali mafiosi sposano uomini di altri boss con lo scopo di solidificare e rafforzare le alleanze tra le cosche.

Per un certo periodo di tempo, i ragazzi scelti sono sottoposti ad una specie di ‘apprendistato criminale’ per verificare se sono idonei a entrare nelle cosche. Una volta che vengono ritenuti adatti, sono presentati al capo clan e celebrano il rito d’iniziazione.

Questo battesimo mafioso consiste nel lasciar cadere qualche goccia di sangue da un dito tagliato su un immagine raffigurante San Michele Arcangelo, considerato il santo patrono della ‘ndrangheta e mentre il santino viene fatto bruciare, i ragazzi devono giurare fedeltà eterna alla cosca.

Per evitare che questo tipo di rituali si ripetano e coinvolgano altri giovani, Roberto Di Bella ha pensato a un programma educativo di recupero per i figli dei boss.

“Avevamo bisogno di trovare un modo per rompere questo ciclo vizioso che trasmette valori culturali negativi di padre in figlio”, afferma di Bella.

Fino a ora, sono 15 gli adolescenti che sono stati coinvolti in questo programma. Sono stati allontanati dai parenti e vivono in case di accoglienze, che li lasciano liberi di incontrare i propri familiari quando vogliono.

“Il nostro obiettivo – dichiara sempre Di Bella – è quello di offrire a questi giovani un mondo diverso da quello che sono cresciuti”.

Mario Nasone, un assistente sociale con esperienza nel trattare con i bambini figli di ‘ndranghetisti, approva questo progetto, facendo notare che finalmente il tribunale di Reggio Calabria guarda a questo problema da un punto di vista globale.

Il problema è che quando questi ragazzi vengono allontanati, la famiglia li disconosce.

“Sei con noi o con loro?” si è sentito dire uno di questi ragazzi. Ora lavora a Milano e ha dovuto tagliare i rapporti con la famiglia.

Leggi l'articolo originale su TPI.it
Mostra tutto
Exit mobile version