“Grazie a Dio l’Italia s’è finalmente risvegliata E siamo molto contenti di questa decisione”: lo diceva a metà giugno il portavoce della Marina libica, Ayob Amr Ghasem, rispondendo a una richiesta di commento sul caso Aquarius.
“Alla fine l’Italia ha preso una decisione, alla fine si è svegliata dopo essere stata a lungo un centro di sversamento di migranti da parte del mondo”, commentava all’Ansa.
E gli apprezzamenti sul lavoro del nuovo governo proseguono, specialmente in seguito all’incontro tenutosi il 25 giugno a Tripoli tra il ministro dell’Interno Matteo Salvini e il suo omologo libico Abdulsalam Ashour.
“Le dichiarazioni del nuovo ministro degli Interni italiano, Matteo Salvini, sono buone”. Così il portavoce della Marina libica, Ayyoub Qasem, che in un’intervista ad Aki-Adnkronos International spiega come “il punto più importante” delle parole del ministro riguarda “la chiusura dei porti italiani alle Ong”.
Secondo Qasem, “queste dichiarazioni hanno colpito tutta l’Europa e hanno avuto un riscontro positivo, ma noi aspettiamo i risultati”, poiché “queste Ong sono ancora presenti e ostacolano le attività della Guardia costiera libica”.
Qasem si dice convinto che “l’assenza degli apparati di sicurezza ha fatto sì che i trafficanti installassero le loro basi nelle aree a est di Tripoli, in particolare nella zona di Garabulli, che è diventata il punto di partenza dei migranti in quest’ultimo periodo”.
Durante il question time alla Camera del 27 giugno, il ministro dell’Interno Matteo Salvini ha annunciato inoltre la decisione di donare 12 motovedette alla Libia con “conseguente formazione degli equipaggi per continuare a proteggere vite nel Mediterraneo”.
Secondo indiscrezioni, le imbarcazioni sarebbero 6 e non 12, dal prezzo unitario di circa 10mila euro.
Le navi – secondo quanto affermato dal ministro dell’Interno e leader della Lega – andranno alla guardia costiera libica. Quella stessa pattuglia che, un anno fa, venne accusata di aver aperto il fuoco contro la ong ProActiva Open Arms. Quello stesso corpo che dipende dalla marina militare locale che, a sua volta, è governata dal governo di Al-Serraj, riconosciuto dall’Onu, ma di fatto privato di qualsiasi potere.
In Libia Al-Serraj è in un angolo, mentre il resto del paese è retto – semplificando la situazione politica – dal governo di Tobruk guidato dal generale Khalifa Haftar, che – tra l’altro – in questo momento è reduce da un ricovero misterioso di qualche mese fa (addirittura è stato dato per morto in diverse circostanze).
La donazione delle motovedette italiane rischia di finire nel caos.
La situazione totalmente ingestibile di uno stato che è sull’orlo del fallimento ormai da diversi anni – e che manda i sindaci di alcune cittadine (veri e propri capi-tribù) a negoziare con i rappresentanti delle istituzioni straniere – non garantisce un buon esito della transazione.
Ma le “donazioni” fatte alla Libia rientravano già in un piano molto più vasto realizzato dal suo predecessore Marco Minniti.
Già nello scorso anno, infatti, si parlò di una operazione ampia – costata anche 800 milioni di euro e che già scatenò fortissimi dubbi – che prevedeva la cessione alla Libia di imbarcazioni, ma anche di ambulanze, jeep, automobili, telefoni satellitari, mute da sub, bombole per l’ossigeno, binocoli diurni e notturni.
Minniti diffondeva i numeri degli sbarchi, soddisfatto. Meno 32 per cento dall’inizio dell’anno, meno 67 per cento a luglio, il mese in cui l’Italia ha imposto il Codice di condotta alle Ong presenti nel Mediterraneo, minacciando di chiudere i porti e incassando al vertice di Tallin la disponibilità dell’Europa per un maggiore impegno per far fronte alla crisi migratoria.
A fronte dei 173 mila migranti sbarcati nei primi undici mesi del 2016 nel nostro paese, nel 2017 ne sono arrivati 117 mila. 55 mila in meno.
La svolta ci fu il 28 giugno 2017, quando Minniti adottò una delle decisioni più eloquenti sui numeri e le difficoltà a reperire le strutture di accoglienza di fronte all’emergenza migranti: durante un volo istituzionale diretto negli Stati Uniti dispose il dietrofront aereo per tornare in Italia e ridiscutere della gestione dei flussi migratori col premier Paolo Gentiloni.
Il ministro valutò attentamente l’intensificazione della collaborazione con la guardia costiera libica, formata da nostro personale e dotata di 10 motovedette ristrutturate dall’Italia, e la guardia libica di frontiera, lungo i 5 mila chilometri al confine con Ciad e Nigeria.
Questa possibilità rappresentò sicuramente un punto di svolta, quanto mai prezioso quindi una presa di posizione chiara e inequivocabile da parte del presidente del Consiglio. Un suo intervento in questa direzione avrebbe certamente un peso specifico importante per cambiate le carte in tavola.
Il 9 gennaio 2017, Minnito volò a Tripoli per gettare le basi di un’intesa con il governo di unità nazionale libico di Fayez al Serraj sulla gestione dell’immigrazione, il controllo delle frontiere e il contrasto al traffico di esseri umani.
Durante la conferenza stampa Minniti diede qualche indicazione in più sul memorandum d’intesa. “Tenendo conto degli accordi già fatti tra Italia e Libia, uno nel 2008, l’altro più recente nel 2012, abbiamo comunemente deciso di raggiungere un accordo nei tempi più brevi possibili, che consenta a Italia e Libia di combattere insieme gli scafisti”.
Da allora i rapporti con il paese nordafricano si sono sempre più intensificati.
Nell’ultimo anno è cambiato tutto nel contrasto ai flussi migratori con la politica intrapresa da Minniti e dal governo Gentiloni con l’intenzione di creare due sale operative: un centro marittimo di soccorso e una sala operativa di contrasto. Lo spiegò, per esempio, il generale Stefano Screpanti, capo del III Reparto-Operazioni della Guardia di Finanza, il 5 luglio al Comitato Schengen.
Screpanti disse che “la Direzione centrale dell’immigrazione e della Polizia di frontiera con l’Unione Europea sta mettendo a punto un progetto per creare queste due strutture. Nel Mrcc libico (la sala operativa di soccorso, ndr) ci dovrebbe essere l’apporto della Guardia Costiera italiana”. Nell’altra “ci dovrebbe essere il supporto principale della Guardia di Finanza, anche per svolgere azioni di contrasto e investigative”. L’annuncio del premier libico potrebbe riguardare quest’ultima ipotesi.
Nell’ultimo incontro di dicembre tra Al-Sarraj e Minniti si parlò di altri due argomenti fondamentali: il controllo delle frontiere meridionali e la chiusura delle decine di centri gestiti da criminali dove i migranti sono tenuti in condizioni disumane.
Gli stessi centri per i quali il ministro Salvini ha parlato di falsa “retorica”.
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