Giancarlo Giorgetti, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio del governo giallo-verde, si è recato negli Stati Uniti per un tour di cinque giorni. Il leghista ha preso parte, tra le altre cose, a un incontro al Council on Foreign Relations, il più importante think tank di politica estera di New York e Washington.
Ma la sua presenza è stata piuttosto imbarazzante, racconta Federico Rampini su Repubblica. Durante il suo discorso, che doveva rassicurare l’establishment finanziario statunitense in vista di eventuali investimenti, Giorgetti ha deciso di parlare in inglese, senza avvalersi di un interprete. Ma non è stato un gran successo.
“Giorgetti nella prestigiosa Harold Pratt House sulla 68esima Strada, circondato dai ritratti della élite di geopolitica e dalle boiserie ottocentesche, ha pronunciato un testo incomprensibile sia agli americani che agli italiani. Leggeva in una lingua a lui quasi sconosciuta, con una pronuncia inventata”, scrive Rampini.
Il peggio è venuto dopo il discorso preparato, quando Giorgetti ha risposto alle domande della platea.
“Interrogato sulla posizione del governo riguardo alla crisi libica, ha detto, letteralmente: «French out» e «Better a dictator». Forse se avesse parlato in italiano avrebbe avuto qualcosa di più articolato da dire, non solo «fuori i francesi dalla Libia» e «si starebbe meglio con un dittatore». Anche come sintesi della posizione del nostro governo, non è proprio il massimo”, scrive ancora.
Una “chiacchiera da bar” insomma, più che una risposta sulla posizione italiana in Libia, davanti agli Stati Uniti.
Ennesima figuraccia del governo all’estero? Probabile, visto che la diplomazia è dovuta “correre ai ripari” e salvare il salvabile.
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