“È stata una scuola di orrori e di aberrazioni in cui ho trascorso ben 12 anni della mia vita. Ci ho messo troppo tempo per rendermi conto di cosa succedesse lì dentro. Tutto è accaduto sotto i miei occhi per giorni, mesi e anni. Poi, finalmente, ho trovato il coraggio di scappare, fuggire via, il più lontano possibile”.
Sergio Pietracito è entrato nella “setta” del Forteto a febbraio del 1978, aveva 18 anni. Ne è uscito a 30 rendendosi conto che aveva consegnato la sua vita a un progetto dai contorni “criminosi”.
Il Forteto nasce proprio nel 1978 nel Mugello, in Toscana, come una comunità strutturata in forma di cooperativa agricola. In poco tempo diventa un modello, il simbolo dell’opposizione ai valori della società borghese e della famiglia tradizionale, un’esperienza concreta di nuove relazioni tra i sessi, un riferimento ideale per politici e intellettuali.
Da quel momento molti giovani, soprattutto provenienti da Prato, decidono di provare questa “sperimentazione sociale” e di dedicarsi alla terra.
Il fondatore del Forteto è Luigi Rodolfo Fiesoli, poi conosciuto come il “Profeta”. Sarà lui che per anni guiderà, insieme a Luigi Goffredi, quella che Sergio ci descrive come una psico-setta.
Sergio, entrato nella comunità a 18 anni e per sua stessa volontà, si rende conto che di quel progetto ideale resta ben poco. Altre cose accadono al Forteto, cose che fanno paura, che non fanno dormire la notte.
“Dovevamo seguire delle regole, quelli che io chiamo ‘i dieci comandamenti del Forteto’, imposizioni che sono poi state accertate come reati su molti imputati durante i processi”, racconta Sergio. (Qui i dieci i comandamenti).
“Eravamo obbligati ad avere rapporti omosessuali come mezzo per la purificazione, dovevamo rifiutare la famiglia di origine, uomini e donne non potevano stare insieme, la donna era considerata come una meretrice, diventava schiava degli uomini per tutte le operazioni quotidiane”, racconta ancora Sergio.
“Lavoravo tutto il giorno nei campi perché mi piaceva, perché era quello che volevo fare e mi teneva lontano dagli orrori. La sera era il momento più brutto, venivamo sottoposti a una sorta di inquisizione durante la quale venivano scandagliati tutti i nostri pensieri. Eravamo costretti a raccontare i nostri sogni, specialmente quelli di natura erotica, era un’ossessione. Ogni sera avveniva questa riunione a cui dovevano partecipare tutti, anche chi era malato”.
Sera dopo sera Sergio ha vissuto il suo incubo che andava avanti consumando le giornate. Il tempo passava senza che se ne rendesse conto, “troppa vergogna a tornare indietro, troppa paura a lasciare un posto in cui ci avevano fatto il lavaggio del cervello”, ci racconta.
“Il mondo esterno era il male assoluto, erano stati bravi a farci credere che dovevamo stare lì, che dovevamo seguire quelle regole. Il Forteto si era posto come alternativa alla chiusura dei manicomi, avvenuta con la legge Basaglia. La comunità era diventata l’alternativa per quelle persone con problemi che venivano portate al Forteto anche da illustri psichiatri toscani”.
E nel Forteto le aberrazioni avvenivano anche nei confronti dei disabili: “Ci mettevano di fronte a scene terribili per farci vivere una sorta di terapia, secondo loro. Ricordo che una delle scene che mi ha spinto a uscire è stata vedere un 28enne disabile psichico costretto a ingerire del mangime per mucche da una ciotola per cani. Vomitò e fu costretto a mangiare il suo vomito. I maltrattamenti servivano per terrorizzare le persone”.
Pur non essendo una struttura d’accoglienza, al Forteto vengono inviati in affidamento disabili fisici e psichici, minori con problemi d’inserimento; il modello educativo appare, ai tanti esperti, funzionale e valido.
Ben presto alla comunità del Forteto arrivano in affido giudiziario anche minori con situazioni familiari problematiche. E per molti ragazzi, come hanno accertato le inchieste giudiziarie, quella cooperativa agricola si rivelò una comunità-setta degli orrori.
Inizialmente composta da 33 giovani, la comunità nel corso degli anni è cresciuta fino a diventare un’importante realtà economica del Mugello. Ma, per le inchieste giudiziarie che l’hanno vista coinvolta, le cronache hanno parlato di comunità-setta e comunità-lager.
“Non c’erano sabati o domeniche, le giornate erano tutte uguali. Passavo tanto tempo nel frutteto, lavorando gratis, ero utile a quel sistema e questo in qualche modo mi proteggeva, mi permetteva anche di dormire quando il ‘guru’ parlava. Le persone erano come congelate, avevano perso il contatto con il mondo ma io, non essendo entrato da bambino ma già da adolescente, avevo dei ricordi cui appellarmi. Quando questi ricordi hanno cominciato a ripresentarsi nella mia mente, mi sono reso conto di quello che stavo perdendo stando lì”.
Così, dopo quasi 13 anni, Sergio decide di scappare e riprendere in mano la sua vita: “Fuggo prima in Francia, poi in Olanda. Viaggio molto e trovo la mia attuale moglie. Con lei costruisco una famiglia e torno in Italia. Non ho trovato subito il coraggio di denunciare quello che succedeva al Forteto, volevo solo dimenticare, ma dopo aver incrociato le storie di altre persone che erano scappate, capisco che devo fare il mio dovere”.
“I fuoriusciti mi hanno raccontato molte altre cose assurde, come bambini indotti a credere che i genitori li avevano venduti a dei pedofili per soldi. In questo modo li allontanavano per sempre, perché i genitori venivano arrestati con false accuse; si trattava di famiglie deboli che potevano essere distrutte dal sistema Forteto”.
Le vicende giudiziarie
Nel 1978 Rodolfo Fiesoli, conosciuto come “il profeta” della comunità, viene arrestato per violenza sessuale, corruzione di minorenni e maltrattamenti. Resta in carcere per quasi tre mesi per violenza sessuale e maltrattamenti. Con lui viene processato anche Goffredi.
Nel 1985 la condanna per Fiesoli e Goffredi diventa definitiva: due anni il primo, 10 mesi il secondo. Anche dopo la condanna Fiesoli continua a guidare la comunità. La condanna però poi passa ‘nell’oblio’, per vari motivi, ancora oggi oggetto di discussioni e polemiche, tanto che alla comunità del Forteto vengono nuovamente affidati altri minorenni.
Nel 2000 la Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo condanna l’Italia per l’affidamento di due minori al Forteto.
Il 22 dicembre 2011 Fiesoli viene arrestato di nuovo con l’accusa di violenza sessuale e maltrattamenti. L’inchiesta parte dalle denunce di decine di persone. Nelle indagini furono coinvolti molti collaboratori del “profeta”.
Nel 2013 la Procura di Firenze chiede e ottiene il rinvio a giudizio per 23 componenti del Forteto, Fiesoli compreso. Nell’ottobre 2013 inizia il processo a Fiesoli e agli altri componenti della comunità.
In contemporanea il Consiglio regionale della Toscana istituisce una commissione d’inchiesta (presiedente da Stefano Mugnai di Forza Italia) per far luce sui motivi degli abusi perpetrati nella comunità a cui sono stati affidati numerosi minori nel corso degli anni. Una seconda commissione regionale d’indagine (presieduta da Paolo Bambagione del Pd) ha svolto il suo lavoro nel 2016.
Il 17 giugno 2015 il Tribunale di Firenze ha condannato Fiesoli a 17 anni e mezzo di reclusione per maltrattamenti e abusi sessuali su minori.
Il 15 luglio 2016 la Corte d’Appello di Firenze condanna Fiesoli a 15 anni e 10 mesi di reclusione, mentre Goffredi è condannato a 6 anni di reclusione. Per entrambi le pene vengono ridotte per la prescrizione delle accuse per alcuni episodi contestati. Condanne ridotte anche per gli altri 8 imputati, 6 gli assolti.
Il 22 dicembre 2017 la Corte di Cassazione ha emesso la sentenza definitiva per Fiesoli, che è stato arrestato. Per Goffredi i reati sono andati in prescrizione.
Sul Forteto è stata anche istituita una commissione regionale bis per indagare sulle responsabilità istituzionali, che del Forteto sarebbero state lo scudo. Ma non avendo i poteri di un’autorità giudiziaria, la commissione finora ha avuto le mani legate di fronte alle reticenze di chi è stato interpellato alle audizioni, o peggio ha scelto di tacere. Nessuno infatti ricorda, nessuno c’era o sapeva.
E sulle responisabilità istituzionali si vuole ancora fare chiarezza, perché le pressioni sul caso, anche a livello dei media, sono state negli anni sempre molto forti.
Il giornalista della Rai Bruno Vespa si occupò della vicenda in una puntata di ‘Porta a Porta’ nel 2001, dopo la condanna della Corte europea dei diritti dell’uomo.
“È di grande conforto vedere forze politiche, con posizioni e interessi diversi, unite su un fatto così grave – sottolineò Vespa – Ma è abbastanza straordinario che solo nel 2011 si sia deciso di intervenire. Siamo in presenza di due persone condannate in via definitiva per violenze sui minori nella stessa struttura cui lo Stato andava dei bambini”.
In quella puntata Vespa dichiarò di aver subito pressioni come mai gli era sucesso in tanti anni di trasmissione.
Dichiarazione che ribadirà il 17 giugno 2016 nella seconda commissione di inchiesta costituita dalla Regione toscana: “Ho confermato alla commissione di aver subito pressioni, di natura prevalentemente politica, ma non solo”.
“Non ci fu ‘una’ telefonata, ma una serie di telefonate, di avvertimenti, perché non si pronunciasse nemmeno il nome del Forteto. In tanti anni di lavoro non ho mai ricevuto così tante pressioni. Solo ora però ho capito davvero la ‘forza’ del Forteto e sono molto contento di aver fatto quella trasmissione”.
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