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La Finlandia prova il reddito di cittadinanza

La Finlandia si appresta a testare nel 2017 il reddito di cittadinanza. Ma cosa è di preciso, e quali sono i suoi vantaggi e i suoi svantaggi?

Di Sergio Inferrera
Pubblicato il 6 Set. 2016 alle 11:40 Aggiornato il 6 Mar. 2018 alle 23:04

Durante il 2017 la Finlandia testerà il reddito di cittadinanza pari a 560 euro su un campione di 2mila persone disoccupate in età lavorativa scelte casualmente. La notizia, diffusa dal Ministero degli Affari Sociali finlandese, ha già creato parecchie aspettative sull’esito dei test.

Se è vero che il reddito di cittadinanza non ha alcun precedente in tutto il mondo, allo stesso tempo questo strumento può essere un efficace rimedio alla crescente povertà.

Non tutti, però, sono d’accordo sugli effetti che queste politiche possono avere sul mercato del lavoro. Le prime incomprensioni sono dovute a una sottile differenza tra due diverse politiche di sostegno al reddito: si può distinguere, infatti, il reddito di cittadinanza dal reddito minimo garantito.

L’idea che sta alla base delle due politiche è comune: fornire un salario superiore a quello fissato come soglia di povertà. Entrambe, però, hanno delle peculiarità nonostante spesso vengano confuse persino dai loro promotori.

Il reddito di cittadinanza è una misura secondo cui ogni cittadino, sia esso ricco o povero, riceve mensilmente una determinata somma di denaro. È questa una misura molto dispendiosa, ma soprattutto difficile da giustificare, in quanto garantire un salario in più ai benestanti può non essere visto di buon occhio.

Il reddito minimo garantito – presente in diversi paesi del mondo -, invece, è una misura simile al reddito di cittadinanza (vengono erogati salari), ma con delle limitazioni: possono accedere a questi aiuti infatti solo alcune categorie di cittadini, occupati e non. Lo stato garantisce così a ogni cittadino che si trovi in condizioni di povertà, opportunamente calcolate, un salario.

Così facendo, se per esempio la soglia di povertà fosse fissata a 800 euro al mese ed un lavoratore ne percepisse 300, il suo sostegno ammonterebbe a 500 euro. Molto spesso, inoltre, vengono inseriti altri vincoli: per poter percepire il salario bisogna fornire alcune garanzie, come ad esempio dimostrare di essere in cerca di un lavoro, dare disponibilità settimanale per opere di servizio sociale e non rifiutare più di un certo numero di offerte lavorative.

Misure di questo genere dovrebbero permettere ai lavoratori una maggiore mobilità e delle condizioni di lavoro mediamente migliori. Infatti, si potrebbe avere la libertà di cercare un lavoro senza l’incubo di rimanere senza reddito.

Al tempo stesso, il datore di lavoro sarà obbligato a fornire ai suoi dipendenti un ambiente e condizioni di lavoro ottimali pur di non perderli. Questi aiuti che possono anche essere investiti, sarebbero inoltre un vero e proprio incentivo alla creazione di nuove aziende con conseguenti nuovi posti di lavoro, riducendo fortemente il rischio di impresa.

Se i benefici di queste politiche sono chiari, gli svantaggi sono principalmente due: il costo e l’azzardo morale. Il costo per misure di questo genere è smisurato, specialmente per un governo con i conti in disordine.

I promotori di queste politiche, infatti, spesso trovano nella copertura finanziaria un ostacolo insormontabile alla loro realizzazione. Per azzardo morale, invece, si intende il ragionamento per cui se un individuo sa di avere a disposizione un reddito abbastanza alto per sopravvivere senza che sia necessario avere un lavoro, a quel punto potrebbe preferire continuare a non lavorare.

Sarebbe dunque compito delle autorità fare in modo che il sostegno al reddito resti un motore per l’occupazione e non un premio alla pigrizia. Esiste, inoltre, una tesi secondo cui il reddito di cittadinanza non abbatterebbe la povertà, ma anzi la aumenterebbe.

L’economista americano Hyman Minsky era uno dei principali fautori di questa teoria: nel suo saggio The macroeconomics of a negative income tax dimostra come un salario fornito trasversalmente ad ogni cittadino non farebbe altro che far lievitare i prezzi dei beni e, dunque, la ricchezza aggiunta andrebbe così persa.

Le conclusioni di Minsky sono forti, ma partono dall’ipotesi che il reddito sia fornito a tutti i cittadini, qualunque siano le loro condizioni sociali. Ponendo però vincoli alla distribuzione dei salari, la conclusione cui arriva l’economista potrebbe non essere più valida.

In uno scenario in cui gli stipendi stentano ad aumentare e in cui le diseguaglianze economiche si ampliano a vista d’occhio, determinate forme di aiuto da parte dello stato sono stati uno strumento utilizzato per combattere la povertà divagante.

Forme di sussidi alla disoccupazione sono presenti in quasi tutta l’Europa: Germania, Belgio, Austria e Norvegia solo per citarne alcuni. Non sorprende, dunque, che la Finlandia decida di testare a livello nazionale gli effetti di quello che potrebbe rivelarsi il più potente strumento in mano ai governi contro la povertà.

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