“Sui social i simpatizzanti del Movimento mi hanno sfondato, riempiendomi di insulti di ogni tipo”. È quanto racconta Filippo Roma ai microfoni del programma Un giorno da pecora su Rai Radio 1.
Roma è la iena che ha realizzato l’inchiesta sui dipendenti che avrebbero lavorato in nero nell’azienda di Antonio Di Maio, padre del ministro del Lavoro.
Simpatizzanti e militanti M5s non hanno accolto affatto bene le rivelazioni delle Iene, e in rete, come spesso accade in questi casi, si sono fatti sentire ricoprendo Filippo Roma di insulti e persino minacce.
“Gli improperi vanno da ‘servo di Berlusconi e Renzi’ a ‘se ti incontro per strada ti ammazzo o ti riempio di botte’ – ha rivelato la iena – Per strada , invece, chi mi incontra mi fa i complimenti”.
Roma ha parlato anche di Luigi Di Maio: “Mi è parso deluso, penso dal papà. Nell’intervista è uscita questa difficile storia legata al passato, di questo padre e figlio che non si parlavano e di cui non so il motivo”.
“Se ci saranno novità sul caso? Non lo sappiamo nemmeno noi, siamo in attesa di alcune risposte da parte di Di Maio”, ha aggiunto.
Lavoro nero, Di Maio nella bufera per suo padre: cosa sappiamo dopo la denuncia delle Iene
Ha fatto discutere il servizio delle Iene andato in onda il 25 novembre 2018 e che vede come protagonisti il ministro del Lavoro, Luigi Di Maio, e un lavoratore nonché concittadino di Pomigliano D’Arco, Salvatore Pizzo.
Nel video, Pizzo se la prende con l’ex vicepresidente della Camera per uno dei suoi cavalli di battaglia anche durante la campagna elettorale: onestà e, dunque, lotta al lavoro nero.
L’uomo, a tal proposito, sostiene di aver lavorato per diverso tempo nella ditta di famiglia senza essere contrattualizzato.
La vicenda raccontata dalle “Iene”
Dal 2009 al 2010 Sasà – appunto Salvatore Pizzo – racconta di aver lavorato nell’azienda edile che da 30 anni è gestita da Antonio Di Maio, padre del vicepremier. La società è stata in un primo momento intestata alla madre, Paola Esposito, e successivamente è confluita nell’Ardima srl, di proprietà – dal 2012 – del ministro Di Maio e della sorella Rosalba al 50%.
Pizzo, secondo la sua ricostruzione, avrebbe lavorato per un anno in nero – nonostante le ripetute richieste di regolarizzazione della sua posizione – e sarebbe stato pagato in contanti. Come lui, altre due-tre persone, ossia quasi la metà della ditta.
La svolta dopo l’infortunio
Antonio Di Maio avrebbe chiesto a Pizzo di non dire in ospedale come si fosse procurato l’infortunio (sul posto di lavoro). Ma l’uomo, invece, avrebbe riferito tutto ai medici. E dopo la guarigione viene licenziato.
A quel punto Pizzo si rivolge al sindacato – la Cgil – e Antonio Di Maio gli fa un contratto di sei mesi. Ma, dopo poco, lo licenzia nuovamente. Pizzo, invece di fargli causa, accetta i 500 euro che il padre del ministro gli avrebbe dato per tacere.
La reazione del vicepremier Di Maio
Se quanto raccontato da Pizzo fosse vero, “sarebbe una cosa grave” commenta il ministro del Lavoro. Di Maio, però, precisa che il fatto non possa essere accaduto dopo il 2012, cioè da quando lui è entrato nella proprietà dell’azienda.
Per il periodo messo in discussione dall’uomo, il vicepremier prende le distanze affermando: “Io e mio padre per anni non ci siamo neanche parlati. Non c’è stato un bel rapporto per molto tempo, è migliorato negli ultimi anni”.
Il ministro, comunque, dopo la trasmissione – in un post su Facebook – ammette l’errore del padre e garantisce tutte le verifiche necessarie al caso.
Lavoro nero nell’azienda del padre di Di Maio: altri casi
Ci sarebbero “almeno” altri tre dipendenti in nero nell’azienda di Antonio Di Maio, padre del ministro del Lavoro. È quanto racconta la nuova puntata delle Iene, in onda martedì 27 novembre 2018 nella quale gli inviati smentirebbero la versione del ministro, per il quale “si tratta di un caso isolato”.
Oltre all’ormai famoso operaio di Pomigliano ci sarebbero quindi altri tre lavoratori senza contratto nell’azienda di famiglia.