“Guai a quel bambino che quando baciato sulla fronte sa di salato. Egli è stregato, e presto dovrà morire”.
Recita così un detto antichissimo del Nord Europa. Nel 1983, chi avesse baciato Pierpaolo, avrebbe sentito un retrogusto di sale.
Pierpaolo Baingiu ha la fibrosi cistica e da Nuoro, non appena venuto al mondo, lo trasferiscono all’ospedale di Cagliari, in gravi condizioni di salute.
Dopo un intervento chirurgico rimase in coma per settimane, già da quando forse non aveva ancora aperto gli occhi. Uscì dal coma, ma quello fu solo il primo di una serie di ostacoli.
La probabilità di contrarre la malattia, se si è figli di genitori portatori sani, è di una su quattro. Oggi la vita media di un soggetto affetto da fibrosi cistica è di circa 40 anni.
Questa malattia altera le secrezioni di molti organi che, risultando più dense, disidratate e poco fluide, contribuiscono al danneggiamento degli organi stessi. A subire i maggiori danni sono i polmoni: al loro interno il muco tende a ristagnare, generando infezione e infiammazione. Queste, nel tempo, tendono a portare all’insufficienza respiratoria.
La fibrosi cistica viene chiamata “la malattia del bacio salato”, perché la pelle sudata se baciata, rilascia questo sapore.
Pierpaolo ha convissuto pacificamente con la malattia fino alla quinta elementare, senza scontrarsi ancora del tutto con questa. “Mi ha fatto saltare l’esame che poi recuperai”, dice con calma olimpica, mentre accarezza a turno Pennino e Marceline, i gatti che gli tengono compagnia nella sua casa a Siniscola, nel nuorese.
Gli chiedo che lavoro volesse fare da bambino, mi aspetto mi dica calciatore o cantante, invece mi dice “pagliaccio”, poi ha smesso di pensarci. È di un’ironia disarmante Pierpaolo Baingiu, mentre mi racconta come vive la giornata seduto sul divano con un visibile catetere venoso appeso al braccio, pronto per essere attaccato alla flebo.
Già, la flebo, per lui una compagna inseparabile: “Ne faccio una ogni sei ore, l’ultima finisce alle 2 di notte, più gli innumerevoli medicinali che devo prendere, compresa l’insulina visto che ho anche il diabete”.
Mi accorgo di non avere una persona comune davanti a me, lo capisco da come mi racconta la storia della sua vita, da come mi racconta di quando, dopo avere terminato la maturità, si è iscritto all’università. “I miei genitori inizialmente non la presero bene, per via di tutte le cure a cui mi dovevo sottoporre, ma decisi di iscrivermi ugualmente, a Cagliari, dove appunto andai a vivere”, mi spiega.
Da quando ha 21 anni, Pierpaolo ha iniziato una cura dove ogni tre mesi deve stare attaccato per due settimane a una flebo di antibiotici.
Sulla sua nave a un certo punto è salita un’altra persona. Si chiama Silvia, la sua anima gemella, e non è mai voluta scendere in nessun porto. Non ci ha mai pensato, nemmeno quando la salute faceva su e giù e i fortissimi colpi di tosse erano la normalità.
Pierpaolo le ha sempre detto che se gli avesse girato le spalle l’avrebbe capita. “Se tu volessi andare via io ti capirei”, le ha ripetuto più di una volta. Ma lei non ha mai tentennato. “Quando devo stare ricoverato per mesi non voglio che venga con me, non voglio rovinare il suo umore e il suo ottimismo”, mi racconta Pierpaolo.
Silvia è la sua compagna di viaggio perfetta, tanto che ad agosto 2016 i due si sono sposati. Lui era in lista per un trapianto bipolmonare, sarebbe potuto partire da un momento all’altro, ma il suo cuor di leone è difficile da scalfire.
Dietro ogni grande uomo c’e sempre una grande donna, e “costi quel che costi, in qualsiasi condizione io la volevo sposare”. Si sono sposati con il telefono che avrebbe potuto squillare da un momento all’altro. Sì, perché la morte di un donatore potrebbe far arrivare due polmoni.
“Vedi, sembra assurdo, ma un donatore potrebbe garantire la vita di un altro, una morte che mantiene un’altra persona in vita”, mi dice Pierpaolo.
Ha scritto un monologo, dove recita raccontando la storia della sua vita. Si intitola Una risata vi seppellirà e racconta la sua esperienza fra un circolo e un teatro. Lo ha scritto in due settimane, fra una flebo e l’altra.
“Quando esco, specie durante l’inverno, devo stare attentissimo, un minimo virus influenzale colpirebbe subito il mio precario sistema immunitario. E allora mi metto una mascherina, e spesso mi porto dietro un appendino per avere la flebo con me”, mi racconta. “La fibrosi cistica spiegata a un profano? È come respirare sempre attraverso una cannuccia”.
Pierpaolo è scout dall’eta di 10 anni ed è presidente dell’associazione fibrosi cistica Sardegna onlus. È una vita che cerca di dare felicità agli altri.
Si crede spesso che un malato possa odiare tutto e tutti, e invece lui no: “Vedi, sarebbe più semplice criticare una persona che si lamenta per sciocchezze, ma in realtà ognuno vive la propria vita, ognuno ha la propria scala di valori. Quella di un altro è certamente diversa dalla mia, ma ognuno ha il suo modo personale di approcciare la vita e le sue difficoltà”.
C’è un gigante di forza e determinazione dietro quel viso da mite ed educato uomo.
È ora di andare, fra poco bisogna rifare un’altra flebo. Il tempo di rimettere il taccuino in borsa, di ringraziarlo tanto per la sua paziente discussione. Verso l’uscita vengono anche Pennino e Marceline.
Mentre dalla bottiglia appesa gocciolerà il farmaco, Pierpaolo ripasserà il copione dello spettacolo Una risata vi sepellirà, dove con il suo sarcasmo darà ossigeno alle risate del pubblico. Quell’ossigeno che spesso lui non respira a pieni polmoni, quasi appunto come fosse razionato da una cannuccia.
Silvia, l’altra metà di quel piccolo grande uomo, rientrerà più tardi dal lavoro.
La sera, quando si va a dormire, in quei dieci minuti prima di addormentarsi, tutti pensano a qualcosa. E tu Pierpaolo a che pensi? “Non ne ho il tempo, mi devo riposare per arrivare fresco all’altra flebo”, risponde sorridendo con il suo sarcasmo che ti spiazza, come il più abile rigorista.
Un bacio sulla fronte dal retrogusto salato. Salato come l’acqua del mare, grande come il suo cuore, immenso come il suo coraggio.
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