“Oggi qui sta succedendo una cosa bellissima. Tutti scrivono di noi e nessuno ci ha mai ascoltati, siamo qua per raccontare la verità”. È mezzogiorno di un tiepido mercoledì mattina di novembre. Nel piazzale dell’ex fabbrica Penicillina di Roma va in scena qualcosa che non era mai successa prima: chi abita nel ghetto fatiscente che si affaccia sulla Tiburtina apre i cancelli arrugginiti e lascia entrare le telecamere.
Il caso dell’Ex Penicillina è da giorni al centro del dibattito politico nazionale: è stato annunciato lo sgombero che suona come una condanna per chi non ha nient’altro che quel luogo.”Noi viviamo qui e solo noi sappiamo che cosa vuol dire”, dicono.
Un tavolo bianco in mezzo al cemento grigio, dietro uno sparuto gruppo di uomini. Gli altri si proteggono al di là delle porte di cartone, fanno capolino dalle fessure che si aprono nelle pareti decrepite dell’enorme mostro. Non ci sono, ma ascoltano tutti. “Tanti non vogliono farsi vedere, non vogliono finire in televisione, si vergognano della condizione in cui vivono. Ma sono tutti qua, anche se non li vedete”.
A parlare è John. In un italiano quasi perfetto, sporcato appena dalla cadenza spigolosa di uno straniero, fa da interprete ai suoi “fratelli” e spiega le ragioni della conferenza stampa.
“Voglio iniziare questa giornata con una semplice considerazione: signori, noi siamo esseri della Terra, non veniamo da Marte, da Giove, da Venere, ma dal pianeta Terra. Abitiamo in questo posto, che è un relitto, tra rifiuti tossici, spazzatura e strutture pericolanti, ma quando uno ha bisogno, come si dice in italiano?, a caval donato non si guarda in bocca”.
John spiega che le almeno duecento persone che oggi abitano lo stabile abbandonato sono arrivate a piccoli gruppi lì nella struttura abbandonata a se stessa di via Tiburtina 1040. “Siamo riusciti a creare una comunità. Sono passati quasi due anni da quando siamo arrivati e questa comunità ha retto, nonostante lo schifo che c’era. Se siete riusciti a passare per quel piccolo sentiero, è perché c’è stato un bel lavoro dietro le quinte. Abbiamo rimesso a posto alcune aree e facciamo la raccolta differenziata”, continua.
Qui la video intervista a John Seck e Aboubakar Soumahoro
Il problema, spiega il ragazzo, è che è sempre più insistente la minaccia dello sgombero: “È diventato un caso nazionale e una cosa è palese: i politicanti non faranno altro che usare questo luogo a loro favore”.
Dietro il tavolo bianco il numero dei ragazzi cresce. Si fanno coraggio a vicenda e parlano nella loro lingua al microfono: sanno di non essere capiti, ma finalmente la loro voce è ascoltata. L’odore acre di rifiuti riempie le narici, mentre attorno un silenzio quasi religioso raccoglie le parole dei ragazzi.
“San Basilio ci ha accolti, è presente, insieme alle associazioni che ci hanno aiutati sempre e che oggi scendono al nostro livello e combattono con noi”, spiega ancora John. “In tanti non sanno come si vive qui dentro. La nostra vita è una sofferenza continua, dalla mattina alla sera. Di certo non è piacevole dormire in un posto del genere, senza elettricità, tra la sporcizia”.
“Siamo più di duecento, ognuno ha un mestiere, ma non può esercitarlo perché privo di permesso di soggiorno. E senza non si ha né una casa né un lavoro”, aggiunge un ragazzo, che continua: “Noi non stiamo chiedendo aiuto solo all’Italia, ma a chiunque abbia a cuore chi scappa da guerre e tirannie. Siamo scappati per cercare la libertà, ma ci viene negata anche qua, questa che ci hanno presentato come la terra delle opportunità”.
A pesare ancora di più sui fantasmi dell’ex Penicillina è il marchio di criminali che si portano dietro. “Molti qui vengono etichettati come delinquenti, solo perché vivono in questo posto, solo perché poveri”. Ma il tempo dell’accoglienza per loro è terminato. Scaduto il permesso, l’unica strada che resta è quella dei rifugi di fortuna. “Nei campi di accoglienza non c’è spazio e l’iter e la burocrazia – non serve che ve lo dica io – sono lunghi e lenti”: la fabbrica abbandonata che cade a pezzi per quelle duecento persone è l’unica risposta.
Però, precisa un altro ragazzo, “io voglio che la gente mi guardi per quello che sono e non sono un delinquente”. Tutti i ragazzi presenti hanno fatto domanda di asilo e sono in attesa dei documenti per mettersi a posto. “Sono andati a farsi censire – spiega un’italiana che John definisce ‘una di noi’ – Questi ragazzi vorrebbero soltanto che gli si mettesse un timbro per ottenere l’asilo e andare altrove, perché qui non vogliono restare, non hanno possibilità”.
“Ognuno di noi vorrebbe vivere da tutt’altra parte”, dice un altro ragazzo in inglese. “Tutti vorremmo vivere in una casa normale, a nessuno piace stare qua, ma non abbiamo altro luogo dove andare”.
A prendere la parola, poi, è un signore anziano. La barba bianca contrasta col volto scuro. Prende il microfono e John traduce meticoloso ogni parola: “Prima di tutto vi benedice tutti e si scusa se qualcosa che dice potrà annoiarvi. ‘Ognuno di noi è venuto per cercare pace, ognuno di noi spera di tornare a casa domani e di riportare la conoscenza che ha imparato qua. Come diceva mio nonno, preferisco che tu mi insegni il modo per guadagnarmi 5 euro, piuttosto che regalarmi 5 euro al giorno'”.
“I piccioni vanno ed emigrano, anche noi possiamo scegliere di andarcene, basta che rispettiamo le leggi del posto in cui arriviamo. La pace che siamo venuti a cercare speriamo di trovarla in collaborazione con voi”, conclude l’uomo, che quasi pare voler abbracciare tutti.
Quello che chiedono gli abitanti dell’ex fabbrica Penicillina è solo un’alternativa. “Siamo costretti a vivere qua perché non sappiamo dove altro stare. Siamo a metà novembre, fa freddo e domani farà più freddo di oggi”.
La conferenza stampa è stata voluta dagli abitanti dello stabile e ad aiutarli a mettere su l’iniziativa sono state altre associazioni e realtà che vivono a San Basilio e che da tempo si battono per i diritti degli invisibili che abitano quelle mura piene di crepe. Asia (Associazione inquilini e abitanti) è accanto ai migranti che vivono sulla Tiburtina e in prima linea a tutti gli sgomberi e sfratti che si sono moltiplicati nell’ultimo periodo.
“Gli sgomberi senza soluzione porteranno ai ghetti. Serve una evacuazione. Le persone che stanno qui hanno bisogno di una alternativa, altrimenti, usciti di qui, si sposteranno altrove. E le soluzioni non servono solo agli stranieri, sono anche gli italiani a essere sgomberati ogni girono. Serve un’alternativa per tutti”, dice Federico Giglio di Asia.
“La nostra proposta è quella di avere un incontro interistituzionale, un tavolo con la prefettura di Roma, il Comune e la Regione Lazio per arrivare a una soluzione reale. Chiediamo l’evacuazione, la requisizione e la bonifica di questo stabile, per restituirlo al territorio, al quartiere di San Basilio”, aggiunge Giglio.
Esiliati dalla società, marginalizzati, costretti a vivere in un cumulo di cemento e rifiuti, gli abitanti dell’ex Penicillina soffrono la condizione di ultimi. “Come in tutti i luoghi marginali, in tutti i luoghi di disperazione, purtroppo ci sono anche persone che prendono una brutta strada, che rovinano con il loro comportamento tutta la nostra immagine”, dicono.
“Questa non è una occupazione abusiva, questo è un accampamento informale. Le due cose sono ben distinte, ma Matteo Salvini le assimila per scelta politica. Lo sgombero di via Vannina, quello di via Costi, come pure quello del Baobab hanno colpito migranti e italiani”. A parlare è Federica Borlizzi, esponente di Alter Ego Fabbrica dei diritti, associazione attiva nel settore della solidarietà sociale.
“Tutti sono accomunati dall’essere criminalizzati. Sapete perché molti di loro sono ancora irregolari? Perché quando vanno a fare domanda di asilo viene richiesta loro la residenza, quando questo criterio non è affatto necessario. È così per il 40 per cento delle persone. La situazione dell’ex fabbrica Penicillina è il frutto di queste politiche”, aggiunge. I migranti sono di fatto esclusi dalla società: “Ma se non ci permettete di stare nel sistema, come potete capire che valore abbiamo?”, grida un ragazzo.
Ieri il Baobab, domani l’ex fabbrica Penicillina. La risposta all’emergenza abitativa passa per la demolizione. “Le ruspe sono espressione del fallimento e della decadenza civiltà. Quello che chiedono gli abitanti di questo posto è un tetto sotto cui dormire”. A parlare è Aboubakar Soumahoro, sindacalista Usb.
“Non vogliono stare confinati, ghettizzzati in una condizione di abbrutimento. Vogliamo che questo spazio sia messo a disposizione della comunità e non nelle mani degli speculatori. Un altro tema da affrontare è quello della regolarizzazione. Non si può non regolarizzare chi sta qui da tanti anni. Se sono in queste condizioni non è per loro scelta, ma sono le politiche messe in campo che hanno portato a quella situazione”, continua con voce ferma Soumahoro.
La politica della ruspa genera illegalità. “Quello che vogliamo è il diritto alla legalità, spazi pubblici e giustizia sociale. Questo non è il governo del cambiamento. Nel decreto Salvini, si liberalizzano i beni confiscati alle mafie, mentre qui vengono ghettizzate le persone. I beni confiscati venissero messi a disposizione delle famiglie che vivono qui. Ma evidentemente una soluzione del genere turba il sonno di qualcuno”, aggiunge il sindacalista dei braccianti.
“Abbiamo fatto una richiesta di incontro insieme agli ambasciatori africani in Italia e metteremo tutti di fronte alle loro responsabilità. Il Comune non può più latitare. Ora chiediamo giustizia, non alla magistratura. Vogliamo giustizia sociale. Hanno gridato ‘onestà onestà’ e non hanno affrontato le vere necessità. Il 15 dicembre ci sarà una manifestazione, Get up stand up, al cui centro sarà il tema dell’abolizione di situazioni come queste”, continua Aboubakar Soumahoro.
“Uno Stato che costringe a vivere così non va verso la civiltà, ma va contro la memoria. Alla parola prima gli italiani, noi rispondiamo prima gli esseri umani. I bisogni non si affrontano con ruspe e inciviltà”, conclude.
La criminalizzazione della povertà e la guerra tra poveri non possono essere la soluzione a situazioni come quelle dell’ex Penicillina. “Noi siamo pronti a fare la cosa giusta – dicono gli abitanti dello stabile – e siamo d’accordo con le realtà sociali e politiche del territorio che rivendicano da tanto tempo l’evacuazione, la requisizione e la bonifica di questo stabile, per ridarlo al territorio, al quartiere di San Basilio”.
Un passo importante, che però non può prevedere una soluzione: “Non siamo pronti a morire di freddo, a vivere sotto a un ponte, a vedere calpestata ulteriormente la nostra dignità. Avere un posto dove dormire è un diritto umano e deve essere garantito a tutte le persone di questo mondo”.
Video a cura di Anna Ditta