Il 15 febbraio è arrivato il via libera della Commissione europea alla seconda fase della procedura d’infrazione contro l’Italia per l’inquinamento eccessivo da biossido d’azoto (NO2). È il secondo richiamo a rispettare la normativa Ue in materia, e un sollecito a chiarire, entro aprile, quali provvedimenti intenda adottare il nostro paese per garantire il rispetto delle norme europee.
Per marzo, secondo la tabella di marcia dell’esecutivo europeo, è previsto un secondo richiamo in materia d’inquinamento, stavolta a causa dello sforamento del limite massimo di polveri sottili nell’aria, le famigerate Pm10.
Il combinato disposto delle due procedure d’infrazione potrebbe costare ai contribuenti una multa colossale, che in molti definiscono già la “madre di tutte le sanzioni”, stimata in diverse centinaia di milioni di euro. Il percorso per evitarla sembra in salita, anche perché l’Italia è ancora nella morsa dello smog, con ben nove capoluoghi che a gennaio hanno sforato il limite di polveri killer per oltre 15 giorni.
In una lunga intervista a TPI Rossella Muroni, presidente di Legambiente, propone alcune soluzioni per ridurre lo smog e guarire dal mal d’aria, sfiorando anche altri temi legati all’ambiente, dal progetto del nuovo stadio a Roma fino alle cosiddette “navi dei veleni”: un caso che sta riemergendo dal passato con un carico di segreti ancora tutti da svelare.
Prima di tutto un chiarimento sulle sanzioni: quanto rischiamo di pagare?
Quasi un miliardo di euro. Ed è quel che ci meritiamo, visto che in questi anni in Italia si è fatto davvero poco per rispettare gli accordi europei. Il mio timore è che adesso si rafforzi quell’immagine, abbastanza diffusa tra i nostri politici, che rappresenta l’Europa come la matrigna cattiva che non vede l’ora di multarci.
In realtà gli accordi di cui parliamo sono stati sottoscritti dall’Italia, e pensati per difendere la salute di tutti i cittadini comunitari. A far scattare la sanzione non sarà un meccanismo punitivo, ma l’insipienza politica.
L’aumento delle polvere sottili e del biossido d’azoto è da imputare alle emissioni delle auto, soprattutto quelle alimentate a diesel?
Anche le emissioni da riscaldamento giocano un ruolo cruciale. Le ricette di Legambiente per liberare le città dallo smog non puntano solo alla trasformazione del traffico veicolare, ma anche all’abbandono del fossile per il riscaldamento urbano e alla riqualificazione degli edifici pubblici e privati.
Proposte semplici, illustrate in un documento che abbiamo recentemente consegnato al ministro Galletti e alle istituzioni locali, durante una riunione tra il titolare dell’Ambiente e i governatori delle regioni padane, le più colpite dall’inquinamento.
Il dossier si intitola Mal d’aria 2017, come ridurre lo smog cambiando le città in 10 mosse. Quali sono le priorità?
Innanzitutto, la drastica riduzione dei veicoli inquinanti, con una meta precisa: far sparire il diesel dai centri urbani entro il 2026. Per centrare questo traguardo bisogna lavorare su due fronti: l’ecosostenibilità dei mezzi di trasporto e l’innalzamento degli standard ambientali per l’utilizzo dei veicoli privati circolanti nelle città.
Sul primo fronte, oltre a insistere sempre di più sulle reti ciclabili, occorre sviluppare la mobilità elettrica con agevolazioni e incentivi statali concentrati esclusivamente sulle tecnologie a zero emissioni. Ma bisogna anche potenziare il trasporto pubblico, con maggiori investimenti per treni pendolari, metropolitane, tram e bus elettrici o a biometano.
Sul secondo fronte, si può pensare a una politica di road pricing e ticket pricing, cioè istituire zone a pedaggio urbano e implementare una differente politica tariffaria sulla sosta. Politica impopolare, forse, ma utile a disincentivare l’uso delle auto inquinanti. Se tassiamo i cittadini, allo stesso tempo dobbiamo garantire loro una rete di mezzi pubblici estesa ed efficiente, ben diversa dagli standard di oggi, molto indietro rispetto a quelli europei.
(Nove capuoluogi italiani hanno già sforato i limiti di Pm10 a gennaio 2017. Credit: Andreas Solaro)
Cos’altro immaginate nelle città per guarire dal mal d’aria?
C’è la partita del verde urbano, ancora tutta da giocare. Creazione di nuovi spazi verdi e piantumazione di alberi in città, necessarie per ridurre non solo l’inquinamento ma anche il rischio idrogeologico.
Senza dimenticare il capitolo riscaldamento, che deve gradualmente abbandonare le fonti fossili, puntare al metano come via di transizione, fino ad arrivare alle energie rinnovabili. E la riqualificazione degli edifici pubblici e privati, necessaria per ridurre sia i consumi energetici che le emissioni inquinanti.
Ma nel metodo, chi e in che modo può realizzare questa trasformazione urbana? E in quanto tempo, con quali risorse?
Serve un maggior coordinamento tra governo centrale, regioni e comuni: una concertazione continua. Il ruolo principale spetta alle regioni, che anziché chiedere nuovi fondi per costruire autostrade, dovrebbero immediatamente concentrarsi sul potenziamento e la riqualificazione dei treni pendolari per liberare le strade.
Ma anche i comuni, che oltre a lavorare in sinergia con gli altri due livelli amministrativi, dovrebbero collaborare tra loro, perché l’aria, come il mare, non rispetta i confini amministrativi.
Ci vuole più lungimiranza politica. Le nostre ricette possono essere realizzate nell’arco dei cinque anni di un mandato amministrativo, ma le ricadute si vedrebbero in un arco temporale dilatato. A primi cittadini e governatori chiediamo dunque il coraggio e la generosità di adottare politiche di lungo respiro, i cui risultati, probabilmente, saranno raccolti da qualcun altro.
Tutto ciò è stato fatto in altri paesi europei, dunque è possibile anche in Italia. Non si tratta di sogni, ma di progetti realizzabili, e anche nel breve termine, purché si cominci domani. Milano, ad esempio, ha già intrapreso questa strada.
Non teme ostacoli culturali?
Quando ci siamo battuti per far passare l’abolizione dei sacchetti di plastica, c’era chi remava contro prospettando una rivolta popolare, perché i consumatori italiani, al primo posto in Europa per l’uso di sporte di plastica per la spesa, mai avrebbero rinunciato a questa abitudine.
Invece, i cittadini hanno immediatamente adottato i sacchetti biodegradabili, oppure sono tornati alle sporte in stoffa. Nel nostro paese c’è una elevata disponibilità ai cambiamenti che portano benefici, e i cittadini sarebbero ben lieti di abitare in uno spazio ecosostenibile, anche perché nei centri urbani vivono malissimo, mentre i figli crescono con ogni tipo di allergie e malattie respiratorie.
Quanto costa alla nostra salute il mal d’aria?
Secondo le ultime stime dell’Agenzia europea dell’ambiente, polveri sottili e biossido d’azoto in Italia provocano oltre 80mila decessi prematuri all’anno. Dato ancor più preoccupante se confrontato a quello complessivo dell’Europa, dove l’inquinamento dell’aria causa oltre 467mila morti l’anno, con danni economici quantificabili tra i 400 e i 900 miliardi di euro.
Il blocco totale o parziale delle auto può essere, nell’immediato, una cura per ridurre lo smog o è solo un palliativo?
Può servire da un punto di vista culturale, per far capire ai cittadini la gravità della situazione, ma non è certo un rimedio, anche perché i risultati sono sempre legati alle variazioni meteo.
Nel 2016 le grandi città hanno attuato a staffetta una serie di blocchi o limitazioni, ma dato che condizioni atmosferiche non cambiavano, i livelli di smog restavano comunque alti. Per carità, meglio questo che niente, ma non è la soluzione al mal d’aria.
Legambiente si è apertamente schierata contro la costruzione del nuovo stadio della Roma a di Tor di Valle. Eppure darebbe lavoro a centinaia di persone. Quali sono le vostre ragioni?
La prima riguarda l’accessibilità del trasporto pubblico alla nuova struttura, garantita in tutte le grandi capitali europei per gli stadi di nuova costruzione. Nel progetto originario di Tor di Valle era prevista l’allargamento delle linee metro B e C, ma se la rete metropolitana romana resta così com’è oggi, alla fine l’unico mezzo pubblico per raggiungere il nuovo stadio sarà la linea ferroviaria Roma-Ostia Lido, che è notoriamente una delle peggiori tratte d’Italia, con costanti ritardi e disagi per i viaggiatori.
La nostra grande preoccupazione è che quel piano punti solo all’accesso delle auto private, e il fatto che sia prevista un gran quantità di parcheggi desta più che un sospetto. E poi, a contorno dello stadio, tra edifici e aree di sosta, ci sarebbe un diluvio di cemento da quasi due milioni di metri cubi. Sarebbe solo un’operazione di speculazione, il rilancio di un’edilizia ormai in crisi.
Oltre a monitorare il livello delle polveri killer, da anni Legambiente tiene i riflettori accessi su un altri veleni, sepolti in fondo al mare e altrettanto pericolosi. In questi giorni sta riemergendo un caso di cui vi siete spesso occupati. La Commissione bicamerale di inchiesta sul ciclo dei rifiuti ha chiesto e ottenuto il via libera alla desecretazione di alcuni documenti in mano al Sismi – l’ex servizio segreto militare, oggi Aise – riguardanti l’affondamento di un centinaio di navi nel Mediterraneo, tra il 1989 e il 1995. Si parla di decine di cargo usati per il trasporto illegale di rifiuti tossici, anche radioattivi, fatte affondare a tavolino con la complicità delle mafie. Cosa vi aspettate di trovare in quelle carte?
La verità su quanto denunciamo dal 1994, i nomi degli ecocriminali coinvolti in questo traffico illecito, che hanno utilizzato la criminalità organizzata per fare affari sulla pelle delle persone. Come nel caso della terra dei fuochi, sappiamo che anche in questa vicenda c’è un connubio tra le mafie e un’imprenditoria senza scrupoli, che ha scelto di liberarsi dei rifiuti di produzione avvelenando la comunità.
Vedremo se dal dossier usciranno nomi e cognomi, indicazioni precise sulla quantità e il tipo di materiale tossico trasportato da questi cargo, e le precise coordinate per ritrovare i relitti. Per quanto ci riguarda, intanto, un risultato lo abbiamo già ottenuto: finalmente qualcuno smetterà di dire che la nostra associazione fa solo allarmismo.
Nel 1994, quando parlammo per la prima volta di “navi a perdere”, siamo stati accusati di tutto, di essere pericolosi visionari, pazzi scatenati. Stessa cosa nel 2009, quando tornammo sull’argomento dopo la pubblicazione di alcune intercettazioni della Dda di Reggio Calabria, in cui due boss della ‘ndrangheta discutevano su come fare affondare navi con rifiuti tossici al largo delle coste calabresi.
Adesso tutto ciò che abbiamo denunciato potrebbe emergere, nero su bianco, dal documento dei servizi segreti. E sarebbe importante venissero a galla anche altre verità, su due casi che crediamo essere collegati a questa vicenda, o comunque al traffico di rifiuti pericolosi.
Quali?
La morte della giornalista Ilaria Alpi e del cineoperatore Miran Hrovatin, uccisi a Mogadiscio mentre svolgevano un’indagine sul traffico d’armi e i rifiuti tossici illegali. E la morte del capitano di fregata Natale De Grazia, anima del pool istituito dalla procura reggina per indagare sugli affondamenti delle navi di cui parliamo, deceduto per avvelenamento nel 1995, proprio durante uno dei suoi viaggi legati a quelle indagini. Due vicende oscure sulle quali il paese non può non far luce.
Bisogna superare il negazionismo, chiarire una volta per tutte il nesso tra la criminalità organizzata e un pezzo dell’imprenditoria italiana, risalire la catena delle omissioni e delle complicità. Noi non siamo un’autorità inquirente, ma spingeremo sempre verso questa direzione, come abbiamo fatto nel corso di questi anni.
Sulle navi dei veleni abbiamo acquisito informazioni ascoltando soprattutto il territorio, denunciando tutto alle autorità competenti e alla Commissione sulle ecomafie. Tutti sanno che quei cargo sono in fondo al mare. Ora bisogna trovarli.
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