Il 21 aprile è arrivata la notizia dell’omicidio di Sanaa Cheema, una ragazza 25 enne di origini pachistane arrivata in Italia da piccola, a Brescia, insieme alla famiglia. Sanaa è stata uccisa in Pakistan, nel distretto di Gujurat dove si recava sporadicamente per trovare i parenti.
La causa scatenante dell’omicidio di Sanaa sarebbe quella di essersi innamorata di un ragazzo italiano e non musulmano.
In questo articolo TPI spiega però che nella storia di Sana Cheema ci sono degli aspetti che non tornano, dal momento che non ci sono notizie di una possibile autopsia sul corpo della ragazza per confermare o smentire l’ipotesi di un’aggressione, e non ci sono prove che il fratello e il padre della ragazza fossero intenzioni a farla sposare con un cittadino pakistano. (Leggi qui per approfondire).
Se anche nel caso di Sana Cheema dovesse essere appurato che si tratta di un omicidio per reprimere la ribellione della ragazza, si tratterebbe della stessa causa che ha portato all’omicidio di un’altra ragazza pachistana, Hina, uccisa nel 2006 per mano del padre e poi sotterrata nel giardino di casa.
Sanaa è stata uccisa in Pakistan e non Italia diversamente da Hina, uccisa dai parenti in Italia. Elemento di non poca importanza. Compiere il delitto nel paese d’origine, circondati da chi condivide le stesse tradizioni e dogmi può assumere tutta un’altra valenza simbolica.
Sanaa e Hina, prima di essere sgozzate dal padre padrone o dal fratello misogino sono state soffocate da dogmi e tradizioni in cui non si riconoscevano, per poi essere uccise dal terrore e dal senso di vergogna da cui i genitori non volevano essere ricoperti.
Il matrimonio nell’Islam non è un sacramento ma un contratto tra due individui. Secondo le interpretazioni islamiche ortodosse, all’uomo musulmano è consentito sposare una donna non musulmana in quanto ritenuto la parte più forte della coppia, nonché il capo famiglia e colui che trasmetterà la religione ai figli
Il matrimonio tra donne musulmane e uomini non musulmani è ritenuto invece illecito in quanto la donna viene ritenuta la parte debole, vulnerabile e più sensibile all’interno di una coppia che dopo il matrimonio potrebbe farsi influenzare dal marito non musulmano.
Nonostante queste interpretazioni ortodosse negli ultimi anni si è acceso un vasto dibattito sul tema, facendo così strada a nuove interpretazioni e fatwe, le sentenze islamiche, che consentirebbero il matrimonio tra donne musulmane e uomini non musulmani.
TPI ha chiesto un parere in merito anche allo scrittore e giornalista algerino Tahar Lamri:
“Il problema più importante in queste vicende come quello di Sana, è l’onore. Nelle società tradizionali si pensa che l’onore sia custodito dalle donne: il mio onore non è un fatto individuale mio, ma è mia sorella, mia madre, mia moglie, mia figlia ecc. a preservare o intaccare il mio onore. L’onore tradizionalmente si lava nel sangue” ha spiegato Tahar Lamri a TPI.
“Non c’è alcun versetto nel Corano che vieta alla donna musulmana di sposare un non musulmano. Si tratta soltanto di interpretazioni, interpretazioni che vietano alla donna ciò che è lecito all’uomo, in totale contraddizione con il Corano che vieta sia all’uomo sia alla donna di sposare una o un ‘Mushrik’, che possiamo tradurre con politeista”.
“Questo mushrik non sappiamo esattamente cosa sia visto che riguarda la società araba della Mecca del VII secolo e non dei giorni nostri”, ha poi proseguito Tahar Lamri.
Nell’Arabia del settimo secolo le figlie femmine venivano seppellite perché ritenute inferiori e portatrici di disonore. Con l’avvento dell’Islam tale pratica venne immediatamente abolita dal profeta Maometto, ma ecco che ad oggi i genitori di Sanaa e Hina hanno compiuto ciò che l’Islam aveva fortemente condannato.
“Il Corano vieta in modo assoluto l’infanticidio specie quello delle figlie femmine per motivi d’onore o per temuta indigenza (Corano 6, 151; 17,31 ; 81,8-9) e lega l’infanticidio all’associazionismo “Shirk”, (di altri dei con Dio). É una delle più gravi offese verso Dio”, ha spiegato Tahar Lamri.
Entrambe le ragazze sono figlie di immigrati scappati dal proprio paese di origine che si sono apparentemente integrati tanto da ottenere la cittadinanza italiana, come riportano alcuni quotidiani, ma non a livello culturale.
Paradossalmente le famiglie di Sanaa e Hina volevano rinchiudere le figlie dentro uno stile di vita da cui loro stessi sono fuggiti perché gli elementi della tradizione fuoriescono soprattutto quando si teme il giudizio della comunità del paese d’origine.
Sanaa e Hima non sono altro che l’emblema di molte ragazze di seconda generazione, imprigionate tra la cultura di appartenenza dei loro genitori e una cultura italiana occidentale in cui si rispecchiano e riconoscono.
A uccidere Sanaa e Hina non è stata la parola del Corano, di Maometto o di Allah, ma il giudizio di una comunità misogina colma di retaggi culturali. Una comunità che ritiene lecito e permette a un Mohamed di sposare la sua amata italiana, non musulmana, ma che sgozza una Sanaa o una Hina in nome del disonore.