Paola Filippini ha 28 anni e vive a Mestre, la frazione di Venezia situata sulla terraferma. Fa la fotografa, ma ancora non è abbastanza affermata da poter vivere solo di questa sua passione e per questo arrotonda con alcuni lavori saltuari.
Ciò l’ha portata a proporsi come hostess per check-in negli alloggi turistici: è un lavoro che ha già fatto, che sa fare e il fatto che conosca tre lingue le dà una marcia in più, soprattutto in una città come Venezia che di turisti ne vede milioni ogni anno.
Paola si è presentata all’appuntamento per il nuovo impiego con il direttore di un’agenzia immobiliare, una di quelle che non si limita a vendere e affittare case, ma che gestisce anche alloggi turistici.
Paola è fiduciosa di ottenere quel lavoro. Aspetta mezz’ora prima che il direttore – M.M., come Paola lo chiama – la riceva, ma non ne fa un problema. Sono cose che possono capitare e questa volta è capitato a lei, ma non è così grave.
M.M. sta per accomodarsi alla sua scrivania, quando un uomo con accento straniero gli chiede di poter entrare. “Torna dopo!”, risponde lui con tono seccato.
Il direttore fa poi accomodare Paola: non si presenta, né le dà la mano. Si rivolge a lei dandole del tu: Paola è infastidita, ma anche questa volta lascia correre.
M.M. prende un foglio prestampato. C’è scritto: questionario informativo. Seguono una serie di domande, che il direttore inizia a rivolgere a Paola.
Le chiede diverse informazioni: quando è nata, quanti anni ha. “L’indirizzo?”, continua poi M.M., e Paola fa notare che lo ha già fornito nel curriculum inviato, ma lui, seccato, le dice che serve di nuovo questa informazione.
“Il suo stato civile?”, chiede poi il direttore. Paola ci pensa su un attimo: non gli ha chiesto ancora nessuna sua competenza, né il titolo di studio, né quante lingue parli e preferisce sapere un’informazione che poco ha a che vedere col lavoro per cui si è proposta.
“In che senso, scusi?”, chiede allora stupita della domanda. “Ha figli? È sposata? Convive?” la incalza M.M.
Paola non capisce, non vuole rispondergli perché si tratta di una domanda privata, che ritiene superflua. “È necessario che risponda a questa domanda?” osa Paola, ormai infastidita dall’atteggiamento del direttore.
M.M. si agita e risponde che è necessario. Paola chiede se può non rispondere e lui, ormai furioso, dice di sì, ma che in caso può accomodarsi fuori.
Per quale motivo il direttore la stava trattando in quel modo, la stava congedando così bruscamente per non aver risposto a una domanda personale sulla sua vita che nulla aveva a che vedere con il lavoro di hostess per alloggi turistici?
“Devo saperlo, perché questo determina la sua disponibilità lavorativa”, è stata la risposta del direttore.
Secondo la ricostruzione della vicenda, Paola ha provato a chiedersi cosa c’entrasse la sua situazione familiare con il lavoro in questione. Lei stessa avrebbe offerto determinate ore di disponibilità, a prescindere dal fatto che fosse sposata o meno.
“Lo chiede anche agli uomini?”, ha chiesto Paola. “Questo è un lavoro che devono fare solo le donne”, le ha riposto il direttore.
Tornata a casa, Paola ha scritto un lungo post pubblico sul suo account di Facebook.
Perché tutto il suo lavoro, la sua formazione, la sua professionalità e le sue qualifiche sono venute in secondo piano durante il colloquio rispetto al fatto che avesse o meno figli? Per Paola tutto ciò ha significato una violenza, che trova del tutto intollerabile in un Paese civile nel 2015.
Paola ha inoltre notato che, sulla sua scrivania, il direttore aveva la foto di sua figlia, una ragazza di 16 anni, che reputa somigliante a lei quando aveva quell’età.
Chissà cosa penserebbe il direttore M.M. se sua figlia, quando avrà finito gli studi, dovesse essere trattata da qualcuno in quella maniera.