Il mercato dei diritti televisivi, soprattutto calcistici, non è mai stato così confuso. Da un lato gli sfidanti storici, le pay-tv di Berlusconi e Murdoch, dall’altro nuovi operatori, anche telefonici, che sembrano volersi sedere al tavolo delle trattative.
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Trattative, peraltro, dal conto particolarmente salato, in un periodo in cui tra incagli legali (Mediaset) e ristrutturazioni aziendali (Sky) non tutti sembrano inclini a spendere centinaia di milioni di euro in un investimento che difficilmente vedranno fruttare. È in questo contesto che, guardando anche un po’ oltre il 2017, si stanno facendo strada realtà alternative, che tuttavia ben conosciamo: i social network.
Facebook, Snapchat e Twitter sono da tempo attive in questo campo negli Stati Uniti, e il loro potere contrattuale potrebbe aumentare qualora decidano di unire le forze. Come? Qualche analista si è sbilanciato in questo senso, alla luce di un recente ingresso al New York Stock Exchange.
Se Snapchat acquistasse Twitter
Snapchat si è quotata. È andato tutto bene, e nonostante a due settimane di distanza il titolo sia scambiato a un prezzo più basso del 20 per cento, la raccolta complessiva è stata di 3,4 miliardi di dollari. Il quesito sorge spontaneo: che farne? Una proposta indecente, seppur in sordina, sembra essersi palesata tra le mura di Wall Street: acquisire Twitter.
L’azienda del canarino azzurro è più o meno formalmente in vendita da metà 2016, quando i trimestri in perdita hanno iniziato ad accumularsi e il prezzo dell’azione a scendere drasticamente (da 30 dollari ad azione di fine 2015 ad appena 15 dollari attuali). Nonostante i 100 milioni di persone attive su Twitter ogni giorno e 1,3 miliardi di iscritti in tutto il mondo, il social dei 140 caratteri ha iniziato a riscontrare crescenti difficoltà sia nell’incrementare il numero di utenti a un tasso soddisfacente sia nel convertirli in guadagni.
Da quel momento si sono fatti avanti diversi e illustri pretendenti: Google, Apple, Disney, Microsoft e Salesforce, prima seducendo e poi abbandonando l’amministratore delegato di Twitter Jack Dorsey all’illusione di poter chiudere un affare diventato poi sempre meno verosimile. Altrettanto inverosimili ma un po’ più sensate sarebbero invece le nozze tra Snap e Twitter.
Un po’ perché oggi la prima vale circa tre volte la seconda, un po’ perché i due social vantano pubblici demograficamente molto diversi, e la loro unione sancirebbe anche quella tra la generazione perduta dei post-millennials dipendenti da selfie e quella più adulta e sarcastica che ama demolirsi a colpi di tweet.
Questo offrirebbe agli inserzionisti la possibilità di raggiungere tutte le fasce d’età in un colpo solo con la loro attività pubblicitaria – che rappresenta la prima, se non l’unica, fonte di guadagno per entrambe le società.
Il futuro delle direttive sportive
Ma la sinergia più interessante risiede proprio in un fenomeno che si rifletterebbe direttamente sulle abitudini dell’utente medio per eccellenza: le dirette sportive.
Nessuna delle due aziende è nuova a iniziative di questo tipo. Ad aprile 2016 Twitter ha stretto una partnership con la National Football League (Nfl), la maggiore lega professionistica di football americano, e a fine ottobre 2016 ha replicato l’esperimento con Wimbledon: dirette live degli incontri di tennis con relative interviste da una parte dello schermo, tweet correlati dall’altra.
Accordi simili sono stati stipulati anche con la Major League di Baseball, con l’Hockey National League e con l’National Basketball Association.
L’azienda di Evan Spiegel non è rimasta a guardare: in concomitanza con Twitter, Snapchat ha siglato un accordo con la Nfl per dedicarle il primo canale sportivo nella sezione Discover.
In aggiunta a ciò Nbc Universal, una delle maggiori media company americane, che trasmette anche le dirette olimpiche, ha effettuato un investimento strategico di 500 milioni in Snap il giorno stesso della sua quotazione, sottolineando di voler cooperare in occasione dei giochi invernali in Corea del Sud nel 2018.
C’è qualcun altro che, immancabilmente, ha lavorato alla stessa idea. Facebook vanta la trasmissione in diretta di una decina di partite delle nazionali maschili e femminili di basket statunitense e di altrettanti incontri calcistici, a cui si aggiunge la recentissima notizia di un accordo con la Major League Soccer (Mls) per la trasmissione di ventidue partite di calcio.
Unire Snap e Twitter significherebbe due cose: da un lato, mettere insieme gli accordi esclusivi stretti da ciascuna compagnia con le rispettive leghe e associazioni sportive, amplificando l’ammontare di diritti acquistati e creando una cassa di risonanza in grado di moltiplicare il bacino di utenti di ciascuna, e di attrarre quindi un numero superiore di sponsor e inserzionisti. Dall’altro, acquisire una dimensione e un potere contrattuale capaci di competere con Mark Zuckerberg. E non solo.
Sì perché, se il fenomeno prendesse piede in Italia come l’ha preso negli Stati Uniti, non sarebbe così surreale ipotizzare che nel prossimo futuro guarderemo Champions League e Serie A esclusivamente sui social network. Si perderebbe il vincolo del luogo fisico e anche quello della presenza del televisore. Basterà una rete wi-fi o una dotazione sterminata di Giga e un decisamente più pratico smartphone, tablet o pc portatile per godersi la partita nei modi e nei luoghi più disparati.
Chi non ha la pay-tv non sarebbe più costretto a uscire di casa alla ricerca di un bar che trasmetta il match e che soprattutto non sia schierato con la tifoseria avversaria. Certo, qualcuno potrebbe obiettare che venga meno quell’atmosfera goliardica da birra, pop-corn e urla animalesche in salotto con gli amici, ma si tratta di una lacuna facilmente colmabile con la smart tv, capace di integrare i servizi internet nel televisore.
Il panorama italiano
Ma in Italia, si sa, la partita più importante è quella giocata al tavolo delle aste. Dopo un investimento con cui Silvio Berlusconi ha strappato nel 2015 a Murdoch i diritti di Champions (650 milioni di euro, di cui probabilmente non rientrerà mai), il dualismo Sky-Mediaset è stato scardinato dalle vicende legali e finanziarie che vedono la seconda attualmente alle prese con i francesi di Vivendi per la cessione di Premium.
Quanto agli altri pretendenti, si è vociferato prima di un possibile accordo Sky-Rai, poi di un reciproco annusarsi di Mediaset e Telecom (seppur quest’ultima abbia tra i principali azionisti proprio il “nemico” francese Vivendi) poi di un inaspettato ingresso di Discovery e anche di La7.
Dall’altra parte, le aspettative di Uefa e Lega Calcio potrebbero dover essere riviste. Incrementare gli introiti del 2015 (1,2 miliardi di euro complessivi) è parecchio arduo. Il mercato è frammentato, competitivo al ribasso e abitato da operatori con vincoli di spesa e strategici. Quindi, che fare?
Sicuramente buttare un occhio alla realtà: mentre i giganti della pay-tv giocano al ping-pong delle alleanze, nel nostro paese prende sempre più piede il fenomeno di realizzare dirette live sui social network che lo permettono, primo fra tutti Facebook. Come? Filmandoli dal televisore o, per i più sofisticati, rubando il segnale con una scheda video da 15 euro. La qualità è pessima e l’azione a tutti gli effetti illegale.
Si tratta però di una forma di pirateria molto più difficile da debellare rispetto a quelle tradizionali. Nel fine settimana del 3 marzo la Lega Calcio, che da ormai quattro anni si affida a un’azienda specializzata nel combattere la pirateria, ha contato almeno 400 pagine Facebook che trasmettevano partite di Serie A.
Il problema per le pay-tv, come ha affermato anche il Chief Security Officer di Mediaset Premium, è il colossale vuoto normativo legato ai social network. A questo si aggiunge che i proprietari dei social network, tra quotazioni in Borsa e ricavi a nove zeri, hanno una disponibilità di cassa che permetterebbe loro di presentare a Lega e Uefa offerte che difficilmente potrebbero rifiutare.
Ed è quindi possibile che tra i (sempre meno facoltosi) litiganti del tubo catodico nostrano, a godere sia un gruppo di trentenni miliardari made in Silicon Valley.
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