Alle 15 di sabato 5 maggio è previsto l’inizio della manifestazione degli anarchici contro Eni, l’Ente Nazionale Idrocarburi, che prenderà il via da piazzale della stazione centrale di Milano.
Da settimane gli agenti della Digos monitorano la situazione per cercare di prevenire violenze e devastazioni durante la manifestazione, che è stata uno dei punti all’ordine del giorno nella riunione dello scorso 27 aprile del Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica, presieduto dal prefetto Luciana Lamorgese.
“Il governo italiano finanzia i campi di concentramento in Libia e le milizie che li gestiscono. L’Eni e le altre imprese di bandiera cercano di preservare e allargare i loro affari, ricorrendo a qualunque signoria della guerra locale”, hanno scritto i manifestanti in un volantino per spiegare le ragioni della protesta.
Secondo askanews dovrebbero partecipare al corteo circa 500 persone, almeno in parte provenienti da ambienti anarchici italiani e stranieri da Grecia, Francia, Spagna, Svizzera e Germania.
Secondo l’agenzia, “la fase preparatoria del corteo è stata a lungo monitorata dagli investigatori della Digos di diverse questure, prima fra tutte quella di Milano”, e che “è stato previsto un ‘adeguato dispositivo’ di polizia e carabinieri”.
Lungo il percorso, forze di polizia e Comune di Milano hanno rimosso cestini e auto, isolando luoghi che potrebbero essere presi di mira, a partire dall’area di servizio Eni di via Galvani, mentre Digos e Nucleo informativo dei carabinieri monitorano l’arrivo degli anarchici.
All’evento partecipano i centri sociali milanesi, i No Tav e i No Tap, centri sociali di altre città, come Torino e Bologna, oltre ad attivisti per la liberazione della Palestina.
I manifestanti contestano il governo italiano per la gestione dei flussi migratori in Libia: la decisione dell’Italia di accordarsi con varie gruppi libici per fermare i flussi migratori – considerata molto rischiosa nelle strategie di lungo termine – insieme alla campagna contro le ong che soccorrono i migranti nel Mediterraneo, potrebbero avere lasciato sempre più persone in mano ai trafficanti libici.