Più di sessantasei giorni. Più di due mesi. Ecco quanto le donne lavorano ogni anno gratuitamente in Italia. Non si tratta di un’azione volontaria, ma imposta: è il gender pay gap, la differenza salariale tra uomini e donne.
Secondo Eurostat le italiane, nelle aziende private, guadagnano il 20,7 per cento in meno rispetto all’altro sesso. Va leggermente meglio nel settore pubblico, dove la disparità retributiva si attesta attorno al 4,1 per cento. Viene da chiedersi: ma perché, ancora oggi nel 2019 (i numeri sono del 2017), lavoratrici e lavoratori non vengono pagati equamente? La risposta è molto semplice.
Innanzitutto, a livello contrattuale, alle donne molto spesso viene proposto un part-time: meno impegnativo di un full-time essendoci meno ore, le donne possono dedicarsi maggiormente alla casa e alla famiglia, anche se magari non hanno scelto loro di farlo.
Di conseguenza, alle lavoratrici spettano mansioni o funzioni meno qualificanti. Lo stipendio – altra ripercussione – non sarà elevato e ciò avrà effetti anche sulla pensione.
Ulteriore fattore da non sottovalutare e che evidenza i numeri sopracitati e che, a parità di competenze e di esperienze, uomini e donne non vengono pagati allo stesso modo. La differenza che caratterizza le buste paga è di almeno il 5 per cento.
I dati elaborati sono percepiti anche nella realtà dalle lavoratrici? Sì. Il 67 per cento delle italiane, riporta il Corriere della sera, non è soddisfatto delle proprie condizioni lavorative. Gli uomini si fermano al 33 per cento.
Se negli altri Paesi qualcosa si sta effettivamente muovendo, il discorso in Italia è diverso. Fino a poco tempo fa le imprese con più di 100 dipendenti dovevano, ogni due anni, dichiarare alle consigliere regionali di parità le eventuali discrepanze di salario tra uomini e donne. Ma le aziende, piuttosto che intervenire, preferivano pagare una penale.