Il 30 gennaio è iniziato l’iter alla Giunta per le autorizzazioni a procedere del Senato per decidere sul rinvio a giudizio del ministro dell’Interno, Matteo Salvini.
Il governo è spaccato tra la Lega, che è pronta a votare contro l’avvio di un processo contro il proprio leader, e i 5 Stelle, che propendono per votare invece a favore anche se la posizione dei pentastellati non è ancora del tutto chiara.
In realtà il Movimento avrebbe dovuto presentarsi fin da subito compatto a favore dell’autorizzazione a procedere, dato che uno dei loro cavalli di battaglia è sempre stata la revoca dell’immunità parlamentare.
Come scriveva lo stesso Luigi Di Maio nel 2014, la misura è “sempre stata uno scudo per la politica” e aveva promesso di non usare questo tipo di protezione.
Alla prova dei fatti però la linea dura del Movimento inizia a vacillare: Di Maio deve decidere se continuare a rispettare il principio legalitario secondo cui tutti, anche i parlamentari, devono farsi processare come i comuni cittadini, o sostenere il suo alleato di governo.
La speranza iniziale dei 5 Stelle era che Salvini rinunciasse all’immunità, come da lui stesso affermato in principio, ma non è andata così: il ministro infatti ha cambiato idea, come ha spiegato in una lettera al Corriere della Sera.
Il leader della Lega nella sua missiva ha chiesto ai senatori di negare l’autorizzazione a procedere nei suoi confronti, abbandonando la linea dell’Io non mollo: “Dopo aver riflettuto a lungo su tutta la vicenda, ritengo che l’autorizzazione a procedere debba essere negata”.
Salvini ha lasciato ai 5Stelle la facoltà di votare “con coscienza” perché “non ho bisogno di aiutini nascosti”, ma si è chiesto: “Ma è normale che un ministro dell’Interno, con l’appoggio di tutto il governo, venga processato per aver fatto quello che ha promesso in campagna elettorale?”.
Nei prossimi giorni si vedrà se il Movimento resterà o meno fedele ai suoi valori o se li sacrificherà in nome della Realpolitik.
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