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“Depistaggio di Stato, Di Matteo non c’entra”, la lettera di Salvatore Borsellino al Csm

Credit: Getty Images

Il fratello del giudice morto nella strage di via D'Amelio ha scritto una lettera al rappresentante del Csm per chiedere di non compiere "una rappresaglia ai danni di Nino Di Matteo"

Di Futura D'Aprile
Pubblicato il 10 Set. 2018 alle 15:33 Aggiornato il 10 Set. 2018 alle 15:33

Salvatore Borsellino, fratello del giudice rimasto ucciso il 19 luglio 1992 nella strage di via D’Amelio, ha scritto al vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura, Giovanni Legnini, chiedendogli di “lasciar stare Di Matteo”.

La lettera di Salvatore Borsellino è stata inviata un giorno prima della convocazione davanti al Csm dei magistrati che si sono occupati delle indagini e dei processi relativi sulla strage in cui perse la vita il magistrato Borsellino e 5 agenti della scorta.

Il Csm vuole valutare le responsabilità di Antonino Di Matteo, Anna Maria Palma e Carmelo Petralia in merito al processo sulla strage.

Al centro della lettera del fratello del giudice ucciso dalla mafia vi è il caso del falso pentito Vincenzo Scarantino, che si autoaccusò, per ritrattare e smentire quanto affermato in precedenza, della strage.

Scarantino non è stato condannato nel processo Borsellino quater, come lo stesso Salvatore Borsellino aveva chiesto tramite il suo legale dopo essersi costituito parte civile.

In questo quadro si inserisce la figura del giudice Di Matteo: la magistratura vuole accertare le sue responsabilità in merito alle false testimonianze fornite dal falso pentito, che secondo le motivazioni depositate il 30 giugno sarebbe stato istruito dal defunto giudice Arnaldo La Barbera.

I giudici della corte di Assise, nelle loro motivazioni, avevano affermato che “soggetti inseriti negli apparati dello Stato” avevano indotto Vincenzo Scarantino a rendere false dichiarazioni sulla strage, definendolo uno dei più gravi depistaggi della storia giudiziaria italiana.

“Le prove raccolte nel Borsellino quater dimostrano, al di là di ogni ragionevole dubbio, che i due magistrati della procura di Caltanissetta con i quali La Barbera ebbe un rapporto oltremodo privilegiato e preferenziale furono Giovanni Tinebra e Ilda Boccassini”, si legge nella lettera di Salvatore Borsellino a Legnini.

“È risultato anche come Nino Di Matteo nella vicenda giudiziaria della strage di via D’Amelio con La Barbera non ebbe alcun tipo di rapporto”.

Ad assumersi invece la paternità della collaborazione di Scarantino con la giustizia furono “Tinebra, Boccassini e, con pochissime parole, Francesco Paolo Giordano”, come rivela una audioregistrazione della conferenza stampa del 14 luglio 1994 presentata da Salvatore Borsellino.

“Le segnalo che Di Matteo al momento di quella penosa conferenza stampa non era ancora nemmeno stato assegnato alla trattazione dei fascicolo sulla strage di via D’Amelio”, continua il fratello del giudice Borsellino.

“Quel che si vuole imputare a Di Matteo è altro, e in particolare il ruolo che egli ha avuto, quale magistrato della procura di Palermo, nei processi per la ‘trattativa Stato-mafia’ e per la mancata cattura di Bernardo Provenzano. La invito a evitare che il Csm si presti a compiere quella che non potrebbe che essere considerata una rappresaglia ai danni di Nino Di Matteo”.

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