Il decreto Dignità del governo Conte ha quattro obiettivi: quello principale è la lotta al precariato, cui si affiancano la lotta alla delocalizzazione delle imprese, il contrasto alla ludopatia e la semplificazione per imprese e contribuenti (qui cosa prevede nel dettaglio).
La guerra dichiarata al precariato rimane però il cuore del provvedimento, come si evince anche dallo slogan scelto dal governo per presentare il decreto alla conferenza stampa che si è svolta oggi, martedì 3 luglio, a palazzo Chigi:”Le persone tornano ad essere persone”.
Il premier Giuseppe Conte ha presentato ufficialmente il decreto Dignità insieme al ministro del Lavoro e dello Sviluppo economico Luigi Di Maio e al sottosegretario alla presidenza del Consiglio Giancarlo Giorgetti, la cui partecipazione vuole dare l’idea di compattezza e tenuta della coalizione di governo Lega-M5s.
Tutti d’accordo dunque nella lotta al precariato. Ma cosa cambia davvero per i contratti a termine con questo decreto?
Iniziamo analizzando i punti messi in rilievo dal governo:
- I contratti a termine avranno una durata inferiore. Adesso infatti possono arrivare a 36 mesi, mentre con il decreto dureranno 12 mesi senza causale, oppure fino a 24 mesi indicando una causale. Le causali possono essere: esigenze temporanee e oggettive, connesse a incrementi temporanei, significativi e non programmabili, o relative a picchi di attività stagionali.
- Ricorrere a un contratto a termine diventa più costoso per le imprese. Ogni rinnovo a partire dal secondo avrà infatti un costo contributivo crescente dello 0,5 per cento.
- I contratti a termine potranno essere prorogati al massimo 4 volte e non 5 (sempre entro la durata massima di 24 mesi).
- Le misure sui contratti a termine si estendono anche ai lavoratori interinali.
- In caso di licenziamento senza giusta causa, è previsto un incremento del 50 per cento dell’indennizzo, che potrà così arrivare fino a 36 mensilità.
Il governo riassume così il contenuto del decreto: “più tutele per i lavoratori senza penalizzare gli imprenditori onesti”. Ma è davvero quello che comporterà questo nuovo provvedimento?
In proposito sono stati espressi vari dubbi, in primis da Confindustria. Secondo l’associazione degli imprenditori, le nuove regole saranno poco utili rispetto all’obiettivo del contrasto alla precarietà.
Il risultato, secondo Confindustria, sarà di avere meno lavoro.
I contratti a tempo determinato, infatti, vengono resi più costosi, così come il licenziamento, mentre non viene fornito alcun incentivo per le assunzioni a tempo indeterminato.
C’è il rischio che le imprese scelgano di avvicendare con più frequenza i lavoratori a termine con contratti di massimo 12 mesi, per evitare le causali.
Durante la conferenza stampa, il premier Conte ha voluto escludere che il governo abbia adottato questo provvedimento per andare contro le imprese.
“Ovviamente questo governo non è in contrasto con le attività imprenditoriali”, ha detto a palazzo Chigi. “Adotteremo misure per incentivare l’attività imprenditoriale e per favorire la crescita”, ha aggiunto.
Un altro punto controverso riguarda proprio la reintroduzione delle causali, che erano state eliminate dal Jobs Act.
Come si può dimostrare l’effettiva presenza di una ragione oggettiva che giustifichi la necessità di assumere un lavoratore a tempo determinato, soprattutto per le imprese di dimensione maggiore?
L’abolizione delle causali aveva portato a una diminuzione delle controversie giudiziarie. Ora si teme che queste possano tornare ad aumentare. Se il giudice non ritiene legittima la causale, infatti, l’azienda è costretta ad assumere il lavoratore a tempo indeterminato.
Infine, una critica che viene mossa dai commentatori a questo provvedimento è il fatto che si sia fatto ricorso alla decretazione d’urgenza: non si tratta di una legge approvata dal parlamento, ma di un decreto del governo che entra immediatamente in vigore e che le Camere devono approvare entro 60 giorni. Questo strumento – secondo la Costituzione – dovrebbe essere utilizzato solo in casi di necessità e urgenza.
Non c’è stata, inoltre, prima di emanare il decreto una vera e propria consultazione del governo con sindacati e associazioni di imprese. Il segretario della Cgil, Maurizio Landini, ha detto in proposito che auspica “l’avvio di un confronto che porti al fatto che tutte le persone che lavorano, sia lavoro autonomo sia dipendente, abbiano diritti minimi garantiti, cancellando forme di lavoro assurde che ancora ci sono, arrivando a una legge sulle rappresentanze”.
Leggi l'articolo originale su TPI.it