David Puente, debunker che smonta tutte le bufale che circolano sul web, ha presentato denuncia contro coloro che lo hanno minacciato di morte e diffamato con la falsa accusa di essere un pedofilo.
Tutto è iniziato con un post diffuso su Twitter, dove un profilo falso di un tale Fabio Varaldi ha pubblicato un falso lancio di agenzia stampa Ansa che titolava: “Atti osceni in un parco con bimbi. Arrestato il blogger David Puente”.
A corredo del post anche la frase: “Si spaccia per blogger e debunker, ma in realtà, ecco chi è David Puente”.
Segnalate questo personaggio @FVaraldi che non definisco “figlio di…” perché le meretrici potrebbero lamentarsi? È quello che ha sfruttato la morte di Marco Andreani per una brutta bufala. Grazie.https://t.co/pciHUiyoGFhttps://t.co/N4bxOTqCevhttps://t.co/gNTFP49fKI pic.twitter.com/iVKeh1z9J5
— David Puente (@DavidPuente) 22 agosto 2018
Nulla di tutto questo è vero, motivo per cui David Puente ha deciso di procedere legalmente contro questa accusa pesante che circola sul suo conto.
Proprio lui che di solito si occupa di debunking di fake news ne è rimasto vittima. Ma non è la prima volta che il debunker si trova a fronteggiare una situazione simile, anche quando aveva smontato la bufala sullo smalto rosso di Josepha, l’unica superstite del naufragio avvenuto al largo della Libia nella notte tra il 16 e il 17 luglio salvata dai volontari della ong Open Arms, aveva ricevuto minacce di morte.
Ma l’accusa di pedofilia, a lui che è anche padre di una bambina piccola, l’ha spinto a sporgere denuncia alla polizia postale.
Questa mattina ho presentato denuncia, presso la Polizia Postale portando con me tutto il materiale possibile, contro tutti coloro che mi hanno minacciato di morte e diffamato. pic.twitter.com/Pvd2dGmrTn
— David Puente (@DavidPuente) 23 agosto 2018
David Puente ha spiegato come agiscono questi creatori di bufale e fake news sul web:
1) Una persona o un gruppo di persone creano sistematicamente su internet dei falsi account con nomi inventati o rubati a altri;
2) pubblicano immagini diffamatorie;
3) taggano (non sempre) alcune persone;
4) Mettono nei tweet diversi hashtag che corrispondono alle parole chiave più cercate su Twitter;
5) Cambiano rapidamente account passando da uno all’altro;
6) Dopo qualche giorno ripartono con un nuovo giro attaccando lo stesso personaggio o degli altri
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