Oggi 6 dicembre 2018, si è tenuta una nuova udienza nel processo bis sui falsi verbali e sui depistaggi del caso Cucchi. A parlare al pm Musarò è Massimiliano Colombo Labriola, comandante della stazione di Tor Sapienza. Secondo quanto emerge dalla testimonianza, le annotazioni sulle condizioni di salute di Stefano Cucchi la notte del suo arresto per droga furono modificate.
Il processo bis è a carico di cinque carabinieri, tre dei quali imputati per la morte di Cucchi. Massimiliano Colombo Labriola è uno degli indagati.
“Il 30 ottobre 2009 il maggiore Soligo mi contattò dicendo che le annotazioni redatte dai carabinieri Colicchio e Di Sano (autori delle annotazioni) non andavano bene perché il contenuto era ridondante, erano estremamente particolareggiate e, nelle stesse, si esprimevano valutazioni medico-legali che non competevano loro”.
Secondo quanto riportato, i due carabinieri furono in seguito ascoltati dal maggiore Soligo; i documenti furono trasmessi al tenente colonnello Francesco Cavallo, all’epoca Capo Ufficio Comando del Gruppo Roma, e poi ritornarono indietro con testo cambiato e la scritta “meglio così”.
“La mattina del 30 ottobre del 2009, quando la morte di Stefano Cucchi era diventato un caso mediatico e la Procura aveva già cominciato a convocare come persone informate sui fatti i carabinieri della stazione Appia e Tor Sapienza per ricostruire quanto accaduto, ci fu una riunione presso il Comando provinciale di Roma alla presenza del generale Vittorio Tomasone e del colonnello Alessandro Casarsa, all’epoca comandante del Gruppo Roma, con tutti i militari dell’Arma in qualche modo coinvolti nella vicenda. Per come si svolse, mi sembrava una riunione di alcolisti anonimi”, ha raccontato oggi davanti alla corte d’assise, nel processo sulla morte del geometra di 31 anni, il luogotenente Massimiliano Colombo Labriola, comandante della stazione di Tor Sapienza.
“Io partecipai a quella riunione assieme al piantone Gianluca Colicchio. Erano presenti anche il maggiore Soligo (comandante della compagnia di Roma Montesacro, da cui dipendeva il comando di Tor Sapienza), e poi il maggiore Unali (della compagnia Casilina), il maresciallo Mandolini e altri tre/quattro carabinieri della stazione Appia. Da una parte c’erano Tomasone e Casarsa mentre gli altri erano tutti dall’altra parte (in posizione frontale). Il tutto durò meno di un’ora – ha ricordato Colombo Labriola – e nulla fu verbalizzato. Tomasone disse ‘bravo’ a Colicchio che chiamò il 118 quando vide che Cucchi, portato in cella di sicurezza, non stava bene mentre rimproverò Mandolini che era intervenuto un paio di volte per supportare un suo collega che non era stato capace di spiegare con chiarezza il suo ruolo nella vicenda. Tomasone zittì Mandolini dicendogli che quel carabiniere doveva esprimersi con le sue parole perché se non fosse stato in grado di spiegarsi con un superiore certamente non si sarebbe spiegato neanche con un magistrato. In quella sede non si parlò della doppia annotazione”.
La testimonianza del carabiniere Gianluca Colicchio
“La sensazione che ho avuto subito quando vidi per la prima volta Stefano Cucchi è che stesse male”. A pronunciare queste parole è il carabiniere Gianluca Colicchio, che nella notte tra il 15 e 16 ottobre 2009 era in servizio alla stazione di Tor Sapienza.
“Notai che gli si era rotta la fibbia della cinta, gli chiesi il motivo e lui mi disse che erano stati gli ‘amici miei’. Per questo chiamai il 118 e il 112. Ed è la ragione per cui non volli modificare l’annotazione di servizio sul suo stato di salute perché significare alterare il senso di quello che lui mi aveva detto”, spiega il carabiniere.
Colicchio ha ribadito la sua testimonianza già resa al pm Giovanni Musarò. L’uomo è stato sentito come persona informata sui fatti nell’ambito dell’inchiesta bis sui falsi verbali e sui depistaggi.
“Il 27 ottobre del 2009 il maggiore Luciano Soligo mi chiamò, mi mise davanti una copia dell’annotazione di servizio su Cucchi non firmata e mi disse di firmare. La firmai ma rileggendola mi resi conto che era stato cambiato un passaggio importante, per cui feci presente al maggiore che non era l’annotazione che avevo redatto il giorno prima, non era ‘farina del mio sacco’. Stravolgeva il senso di quello che mi aveva detto Stefano. Presi in mano il foglio che avevo appena firmato e dissi che non volevo che l’annotazione modificata fosse trasmessa perché ne disconoscevo il contenuto”, spiega ancora l’agente.
“Soligo cercò di farmi calmare ma io non volevo sentire ragioni. In quel momento il maggiore stava parlando al telefono con il tenente colonnello Cavallo per cui me lo passò dicendogli ‘il carabiniere è un po’ agitato’. Parlai dunque con Cavallo, il quale mi chiese per quale ragione non volessi firmare l’annotazione e dissi a lui quello che avevo già detto a Soligo e cioè che non era ‘farina del mio sacco’ e ne disconoscevo il contenuto. A questo punto Cavallo mi evidenziò che rispetto all’annotazione che avevo redatto la sera prima, era stato cambiato solo un passaggio, ma io non volevo sentire ragioni perché mi ero reso conto che quella piccola modifica cambiava completamente il senso di quello che intendevo attestare. Per cui presi l’annotazione e la portai via”, spiega ancora l’uomo.
“Io non sono stato minacciato ne’ da Soligo ne’ da Cavallo. Ho un carattere forte e non mi lascio intimidire dai gradi. Però c’è gente che di fronte a un graduato interpreta un ordine superiore come un’intimidazione”, ha spiegato ancora l’uomo.
“Per quello che percepii io Soligo non si trovava in una situazione molto diversa dalla nostra, nel senso che anche lui stava dando esecuzione ad ordini provenienti dalla sua gerarchia. Ritenni per questo che la ‘regia’ veniva dal Gruppo di Roma, circostanza confermata dal fatto che Soligo non cambiò i files delle due annotazioni sul posto ma i files furono trasmessi al Gruppo e tornarono modificati dal Gruppo”, prosegue il carabiniere.