Siamo a Cese di Preturo, 10 chilometri da L’Aquila. 17 minuti di verde e borghi arroccati dividono il capoluogo abruzzese dalla piccola frazione che nasce ai piedi dell’Appennino. Ai lati della strada si vedono le schiere precise e ordinate del progetto C.A.S.E., i Complessi Antisismici Sostenibili Ecocompatibili costruiti all’indomani del sisma che nella notte tra il 5 e il 6 aprile del 2009 devastò L’Aquila e provocò la morte di 309 persone.
Sono in tutto 19 insediamenti, spalmati su tutto il vasto territorio della città: non solo nell’immediata periferia de L’Aquila, ma anche in tutte le frazioni profondamente colpite dal sisma. Il progetto fu voluto dal governo Berlusconi e dalla Protezione Civile. Il costo complessivo fu di 700 milioni di euro per 4300 alloggi e 1200 MAP (Moduli abitativi provvisori).
L’idea del governo, allora, era quella di far sì che gli aquilani non lasciassero la città, non si allontanassero dalla propria terra. Una soluzione provvisoria, quindi, che avrebbe permesso a oltre 15mila persone di attendere il momento di rimettere piede a casa non lontano dalle stesse.
Dieci anni dopo gli sfollati sono ancora lì. La situazione emergenziale si è trasformata lentamente in una condizione di stallo. Le persone attendono e le case marciscono. Non tutte, perché la resistenza delle abitazioni dipende dalle ditte che hanno preso in appalto i la costruzione dei vari blocchi.
E così, girando tra le schiere di palazzine a due piani che costituiscono il complesso della frazione aquilana, si vedono palesi le differenze. Il gruppo di abitazioni si stende ai piedi della frazione, in una spianata nel verde che guarda il paesotto vecchio, semidistrutto.
Tutta la parte sinistra del complesso, quella che si snoda su via Gian Maria Volontè, cade letteralmente a pezzi. Il legno delle abitazioni, annerito, marcisce. I balconi si sbriciolano e cadono giù.
Alla vigilia del decimo anniversario del terremoto che rase al suolo L’Aquila, il complesso abbandonato di via Volontè appare come un segno dello stallo. Le finestre sbarrate delle decine e decine di appartamenti del blocco, le tende strappate, i calcinacci a terra e i vetri rotti a terra rendono spettrale e malinconico un luogo che sarebbe dovuto essere il “rifugio” degli sfollati.
Un anziano signore passeggia lento tra le file di case. Non è uno sfollato del terremoto del 2009, ma di quello che nel 2017 colpì il centro Italia. Infatti le C.a.s.e. ospitano, oggi, anche gli sfollati di Amatrice e di altri paesi abruzzesi coinvolti nel sisma.
“Il problema di queste abitazioni sono i balconi. Le case sono costruite in legno e poi rivestite, ma il legno utilizzato non è dei più resistenti”, spiega l’anziano signore. “Con la pioggia, il legno marcisce. Se avessero fatto delle coperture per proteggere i balconi, come hanno fatto negli altri blocchi, questa situazione sarebbe stata evitata”, continua.
Il blocco è stato ritenuto inagibile e le famiglie che lo abitavano, come trottole, sono state trasferite in altre case. In quelle che sorgono nella parte destra del complesso, dove le case, dopo dieci anni, sembrano impeccabili. I balconi sono riparati da tettoie che li proteggono. Alle finestre le tende socchiuse e i panni stesi ad asciugare mostrano la vita che va avanti, nell’attesa di capire se quella sarà una soluzione definitiva o se la possibilità di tornare a casa esiste ancora.
Il sindaco de L’Aquila, Pierluigi Biondi, intervistato da TPI, commenta il processo lento e macchinoso della ricostruzione della città. “Il progetto C.A.S.E. è una sorta di buco nero della città. L’intervento della Protezione civile è stato indispensabile”, spiega Biondi, che sottolinea, però, come ci sia stato un problema relativo alla localizzazione dei complessi: “La scelta urbanistica è stata fatta dall’amministrazione dell epoca. Questa ottimizzazione degli alloggi è frutto di una scelta che ritengo errata”.
A proposito dei diversi episodi che hanno visto la caduta dei balconi in alcuni complessi, il sindaco spiega che “alcuni progetti C.A.S.E. hanno dei difetti costruttivi. Li abbiamo rilevati, ci sono anche delle indagini giudiziarie e noi stiamo attivando le procedure per escutere le polizze fideiussorie che i costruttori avevano sottoscritto all epoca. In alcuni casi c’è stato anche un problema di scarsa manutenzione. Il progetto C.A.S.E. sotto molto punti di vista è stato messo nel dimenticatoio dalla precedente amministrazione come se fosse una città a parte, un non luogo”.
Il primo crollo è stato registrato proprio nell’insediamento di Cese di Preturo nel settembre del 2014. Meno di due settimane dopo, in una abitazione del complesso di Colle di Roio cedeva un soffitto. Lo scorso 18 marzo, sempre a Preturo, è avvenuto il crollo di altri tre balconi.
Mentre le case marciscono, è in corso il processo nei confronti della ditta che avrebbe fornito il legno utilizzato nella costruzione delle abitazioni del progetto C.A.S.E. de L’Aquila. I balconi continuano a cadere negli insediamenti aquilani e l’ipotesi prescrizione – che cadrebbe a metà del 2019 – diventa sempre più concreta. E in quel caso, una macchia nera enorme si spanderebbe sulla ricostruzione della città, finora considerata uno degli esperimenti meglio riusciti degli ultimi decenni.