Guarderò tutte le terre come fossero mie, le mie come se fossero di tutti.
Eccola, intatta, la ricetta illustrata da Seneca nel De Vita Beata: il segreto per condurre una vita piena e felice.
Eppure, nonostante il mondo vada sempre più verso l’abbattimento di ogni sorta di confine, sia esso economico o culturale, a distanza di venti secoli dall’opera del filosofo romano sembra oggi un’impresa quasi impossibile.
Senza andare a scomodare quanto recentemente accaduto in Catalogna, basta infatti dare uno sguardo in casa nostra, dove il prossimo 22 ottobre i cittadini di Veneto e Lombardia verranno chiamati a esprimersi in merito a una maggiore autonomia regionale. Si tratta di un voto consultivo, non vincolante e non necessario, in quanto una regione può già a oggi avviare una trattativa con il governo di Roma per ottenere maggiore autonomia.
Ma ha una sua valenza simbolica ed è un primo passo per quell’indipendenza democratica della Padania che, dal 1994 a oggi, la Lega Nord non smette mai di avere come dichiarato obiettivo finale.
Ora, nonostante quanto successo in Spagna sia ben diverso, alla base sembrerebbero tuttavia sorgere le stesse esigenze. Culturali, innanzitutto, ma soprattutto economiche.
E qui viene il nodo centrale della questione: perché una regione più ricca dovrebbe condividere tale benessere economico con una più arretrata? Facile considerare questo ragionamento come individualista, ma prendiamolo invece per buono.
Basterebbe infatti riflettere un poco per capire come le ragioni per l’autonomia siano più che valide, direi quasi nobili. Di più: forse dovrebbero essere condivise e incentivate per il bene di tutti.
Dovremmo assecondare queste spinte verso l’autonomia e l’indipendenza, perché in gioco c’è il diritto di autodeterminazione di un popolo, qualsiasi cosa esso significhi. E da esso dovremmo lasciarci guidare.
Anzi dovremmo portarlo verso l’estremo. E allora, forse, è giusto immaginarlo questo sogno della Lega Nord portato a compimento: una repubblica federale della Padania, formata da stati autonomi.
Le attuali regioni del nord non dovrebbero più sottostare alle regole imposte da Roma e finalmente ognuna sarebbe libera di promuovere la migliore vita possibile per i propri cittadini.
Certo, è probabile che si finisca a litigare all’interno dei singoli stati tra province e rispettive capitali. Dopotutto, perché Padova dovrebbe sottostare alle regole imposte da Venezia? E perché una Mantova ricca e felice dovrebbe regalare le proprie tasse a una Milano spendacciona?
Il principio è lo stesso e dunque, forse, sarebbe opportuno dividersi un altro poco. E allora ogni città sarebbe autonoma e finalmente tutti vivremmo davvero la migliore vita possibile. Penso capiate da soli che non durerebbe, non è sostenibile un discorso del genere.
Ogni quartiere, infatti, non dovrebbe avere il sacrosanto diritto di gestirsi da solo? All’interno delle città convivono zone di degrado e quartieri ordinati e benestanti. Cosa hanno in comune le due aree? Perché, ad esempio, dover sprecare i contributi pubblici nella gestione del verde di un quartiere che non sia il proprio? Diverrebbe praticamente inevitabile scindersi ancora.
E poi ancora, e ancora.
Di lì a poco non riusciremmo a sentirci parte di qualcosa e avremmo bisogno di ulteriori partizioni. Questa è la verità: sogno un mondo in cui ci separiamo dal quartiere, dalla strada, dal condominio e anche dal pianerottolo. E sarebbe un bene perché solamente in famiglia riusciremmo a trovare un’identità forte e naturale, messa in discussione magari solo da questioni di economia domestica.
Dopotutto, da un punto di vista darwiniano, perché condividere le risorse con un genitore, un figlio o ancora peggio un fratello? Si tratta di persone che non fanno parte del nostro organismo.
Sono certo converrete sia più funzionale un’organizzazione autonoma, individuale, come per altro già avviene in natura. Ho così capito che solamente da singoli individui sia possibile raggiungere la vera felicità.
Anzi, se solo fosse possibile, dovremmo tornare a essere cellula, l’unità fondamentale della vita, e da lì dividersi nuovamente in molecole, quindi atomi.
Solo allora, quando saremmo elementi singoli, indissolubili, potrebbe accadere qualcosa di meraviglioso: imparare a incontrarci, conoscersi. E avviare nuovi legami. Dapprima fisici, poi organici, quindi relazionali e sociali.
Diventeremmo nuovamente cellule, organi, persone, figli, genitori, vicini, concittadini e via dicendo. E finalmente potremmo imparare a considerarci come cittadini del mondo e parte della medesima vita.
Perché, come Seneca cercava di ammonire venti secoli fa, non per la logica individualista nasceva tutto ciò che di migliore l’essere umano ha prodotto nella sua storia.