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    Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte vuole che l’Italia smetta di vendere armi all’Arabia Saudita

    Giuseppe Conte
    Di Veronica Di Benedetto Montaccini
    Pubblicato il 1 Gen. 2019 alle 18:34 Aggiornato il 10 Set. 2019 alle 20:33

    Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte promette uno stop alla vendita di armi all’Arabia Saudita.

    Conte si è fatto portavoce di un’istanza secondo cui l’Italia sarebbe contraria alla vendita di armi in Arabia Saudita: “Non siamo favorevoli alla vendita di queste armi e quindi ora si tratta solo di formalizzare questa posizione e agire di conseguenza”, ha detto il capo del governo durante la conferenza stampa di fine anno.

    Dichiarazione arrivata in seguito a una delle domande della conferenza, nello specifico se l’Italia avrebbe continuato a vendere armi all’Arabia Saudita alla luce della guerra di quest’ultima in Yemen e il coinvolgimento nell’assassinio del giornalista saudita Jamal Khashoggi lo scorso ottobre 2018.

    Morte, quella di Khashoggi, che ha causato indignazione globale nei confronti dell’Arabia Saudita, con la CIA che ha recentemente raggiunto la conclusione che il giornalista è stato ucciso in seguito a un ordine diretto del principe ereditario saudita Mohammad Bin Salman (MBS). Tuttavia, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha sin da subito dubitato delle conclusioni della CIA, sottolineando che MBS è un partner di lunga data degli Stati Uniti.

    Diversi altri paesi in Europa hanno detto di aver cessato le vendite di armi in Arabia Saudita sulla scia dell’omicidio di Khashoggi, tra cui Germania, Danimarca e Austria.

    Alcune delle vendite di armi dell’Italia avvenute in passato hanno portato a gravi conseguenze: a dicembre 2017, un’inchiesta del New York Times ha rivelato che le bombe sganciate dall’Arabia Saudita contro la popolazione civile dello Yemen nel bombardamento dell’ottobre 2016 provengono dalla fabbrica sarda RWM.

    Per il nostro Paese, il riferimento è la Legge 185 del 1990, che vieta l’export di materiali di armamento verso Paesi “in stato di conflitto armato, in contrasto con i principi dell’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite, fatto salvo il rispetto degli obblighi internazionali dell’Italia o le diverse deliberazioni del Consiglio dei ministri, da adottare previo parere delle Camere”.

    Una definizione che rischia di essere oggi piuttosto datata, vista la notevole diffusione di conflitti ibridi, in cui non sono sempre chiare le parti in gioco. Risulta ambiguo sostenere che l’Arabia Saudita andrebbe considerata come coinvolta in un conflitto armato perché interviene insieme ad altri Paesi a sostegno del governo dello Yemen, mentre non dovevano esserlo considerati Francia e Regno Unito che bombardarono unilateralmente la Libia e tutti quelli che lo fanno adesso, così come quelli che lo hanno fatto in Siria.

    A inizio settembre era stato comunque il ministro Elisabetta Trenta a chiedere alla Farnesina di valutare il rispetto della norma circa le forniture dirette all’Arabia Saudita. Aveva prontamente risposto il sottosegretario agli Esteri in quota Lega Guglielmo Picchi, dichiarando la legittimità delle vendite in questione, invitando tra l’altro ad essere “consapevoli di ogni conseguenza negativa occupazionale e commerciale” nel caso di una “diverso indirizzo politico”.

    L’affermazione di Conte di fine anno nell’impegnarsi a cessare la vendita di armi non è in fondo così chiara, soprattutto non è stata contestualizzata: il riferimento è alla guerra in Yemen o all’export militare verso l’Arabia Saudita nel suo complesso?

    In quest’ultimo caso, un’eventuale interruzione dei rapporti sarebbe in netta controtendenza rispetto alle scelte degli altri grandi paesi, ed escluderebbe un importante comparto industriale da un mercato in costante ascesa. Sarebbe una scelta politica forte.

    I numeri infatti ricordano quanto questo business conti nel mondo. Nel 2017, secondo i dati dell’autorevole istituto di Stoccolma Sipri, l’Arabia Saudita è stato il terzo Paese al mondo per spesa militare dopo Stati Uniti e Cina, con quasi 70 miliardi di dollari spesi nel settore, il 9,2 per cento in più rispetto all’anno prima.

    Riad occupa però il secondo gradino del podio per quanto riguarda l’import nel periodo 2013-2017, seconda solo all’India. Principali partner sono gli Stati Uniti, Regno Unito, e Francia, che coprono rispettivamente il 61 per cento, il 23 per cento e il 3,6 per cento del complessivo import della difesa saudita. Guardando il lato dell’export, l’Arabia è la prima destinazione dei prodotti militari made in Uk (assorbendo il 49 per cento delle esportazioni britanniche nel settore) e made in Usa (con il 18 per cento).

    Qui l’inchiesta “Doppia ipocrisia” sulla triangolazione della vendita di armi all’Arabia Saudita in cui è coinvolta l’Italia.

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