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    Come è andata la conferenza sulla Libia: il diario della inviata a Palermo

    A Palermo i leader libici al Serraj e Haftar si stringono la mano davanti al premier italiano Giuseppe Conte.
    Di Futura D'Aprile
    Pubblicato il 13 Nov. 2018 alle 20:33 Aggiornato il 10 Set. 2019 alle 08:56

    Dalla nostra inviata – Il vertice per la Libia e con la Libia, riprendendo lo spot ufficiale del governo italiano per la due giorni che ha animato villa Igiea a Palermo non è stato un flop come molti avevano preannunciato.

    Anche definire l’evento un successo o “una pietra miliare”, per citare l’inviato speciale dell’Onu, non è corretto.

    Il premier Conte è riuscito a strappare la presenza del maresciallo Khalifa Haftar in extremis, quando già diversi media davano per certo il forfait dell’uomo forte della Cirenaica e il crollo della conferenza.

    Senza di lui, infatti, gli accordi presi a fine della conferenza sarebbero stati ancora più difficili da mantenere, ma il comportamento tenuto da Haftar non è di poco conto. Il maresciallo è arrivato a villa Igiea all’ultimo minuto, giusto in tempo per la foto con il presidente Conte, intento a ricevere le delegazioni. Una stretta di mano, una pacca sulla spalla e Haftar ha ripercorso a ritroso la strada che lo separava dalla sua macchina.

    Un segnale chiaro del potere che il generale ha e che sa di avere e che non esita a sfruttare a suo favore. Che Haftar abbia giocato fino all’ultimo con il governo italiano è innegabile, ma Conte ha avuto la foto che tanto desiderava e tanto basta a rendere il maresciallo “un uomo d’onore”, a prescindere dalla sua reputazione in patria.

    Ancora di più se si considera che il governo può fregiarsi di una seconda foto, diventata già il simbolo della conferenza: Haftar e al Serraj che si stringono la mano, con Conte ad unirle con le sue.

    Un attimo di fibrillazione si è poi avuto nel pomeriggio, quando la delegazione della Turchia, capeggiata dal vicepresidente, ha abbandonato la conferenza prima della fine dei lavori.

    Prima di uscire sbattendo la porta, la delegazione ha etichettato come irrispettosa l’esclusione dell’incontro tenutosi in mattinata tra Haftar,  l’egiziano al Sisi, il presidente libico al Serraj, il russo Medvedev, il ministro degli Esteri francese, il presidente della Tunisia, il premier algerin, il rappresentante speciale dell’Onu in Libia Salamé e il presidente del Consiglio Ue Tusk.

    “Non si può pensare di risolvere la crisi in Libia coinvolgendo le persone che l’hanno causata ed escludendo la Turchia”, ha detto il vicepresidente lasciandosi alle spalle i cancelli della blindatissima villa Igiea.

    D’altronde l’esclusione della Turchia non sorprende. Haftar si era  rifiutato fin da subito di sedersi allo stesso tavolo di Turchia e Qatar e aveva più volte sottolineato di non avere alcuna intenzione di prendere ufficialmente parte alla conferenza di Palermo.

    Il maresciallo infatti accusa i due paesi, sostenitori di Serraj, di  finanziare  organizzazioni islamiste a lui avverse. Il riferimento, ben poco velato, è ai Fratelli Musulmani, impersonati dal vicepresidente del Governo di accordo nazionale di Tripoli.

    La querelle Turchia-Haftar è il segno evidente di uno scontro tutto interno al mondo musulmano che vede Ankara e Doha da una parte e Emirati Arabi e Arabia Saudita dall’altra.

    La defezione della delegazione turca non ha rovinato “il clima positivo” della conferenza, o almeno questo è il parere del premier Conte, che si dice fiducioso per il raggiungimento della pace in Libia.

    Alla fine non è stato firmato alcun accordo, come era già trapelato nel corso della conferenza, ma durante la giornata il maresciallo Haftar ha affermato che non ha alcun interesse a deporre l’attuale presidente Serraj.  “Non si cambia il cavallo mentre si sta attraversando un fiume”, sono state le parole pronunciate dal maresciallo per assicurare che si impegnerà a mantenere lo status quo fino alle prossime elezioni.

    Il premier Conte e l’inviato speciale dell’Onu Salamé hanno ribadito che l’unica strada percorribile per giungere a una pace è quella suggerita dalle Nazioni Unite.

    Nel concreto (anche se per ora di concreto c’è ben poco) i leader libici e la comunità internazionale si sono impegnati a rispettare il piano avanzato dall’Onu: una conferenza nazionale in Libia per l’inizio del 2019 ed elezioni presidenziali entro la primavera dello stesso anno.

    La conferenza nazionale dovrebbe riunire i rappresentanti di Tripolitania, Cirenaica e Fezan per cercare di risolvere il caos che regna ancora in Libia. Obiettivo importante sul fronte economico la creazione di una sola Banca nazionale e la gestione delle risorse del paese, per mettere fine alla guerra interna per i giacimenti di gas e petrolio.

    Sul fronte sicurezza, è prevista la creazione e l’addestramento di una forza di polizia che protegga la capitale Tripoli e l’Italia si è impegnata a offrire il supporto necessario per l’addestramento dei militari.

    In conclusione, il governo Conte porta a casa una conferenza “inclusiva” che dal punto di vista mediatico ha dato molto, tra suspense e foto di strette di mano, ma che non sembra destinato ad avere un impatto reale sulla vita dei libici, né sul raggiungimento della pace.

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