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Chi ha deciso che le donne devono spendere più degli uomini?

È vero che le spese sostenute dalle donne sono maggiori rispetto a quelle degli uomini? Sì, ecco il perché

Di Lara Tomasetta
Pubblicato il 31 Mar. 2017 alle 17:09 Aggiornato il 14 Apr. 2018 alle 20:14

Quanto costa essere donna? Al di là dell’impegno mentale richiesto – che già di per sé meriterebbe una discussione a parte – quanto è economicamente impegnativo essere donna?

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È difficile azzardare un calcolo di quali siano le spese obbligatorie che ogni mese una donna deve sostenere solo in virtù del suo genere, soprattutto cercando di distinguere tra prodotti necessari e accessori, che possono variare da donna a donna.

In generale sembra che la vita da donna sia piuttosto costosa. Assorbenti, creme, deodoranti, rasoi, struccanti, trucchi: prodotti che sono ormai entrati di diritto nelle spese mensili dell’universo femminile e che rappresentano un costo fisso da mettere in bilancio.

Oltre a dover acquistare una serie di prodotti in più rispetto al genere maschile, le donne sono sempre più spesso costrette a comprare gli stessi beni a un prezzo maggiorato.

Negli Stati Uniti la chiamano pink tax, la tassa rosa, che rappresenta il differenziale di prezzo dei prodotti destinati ai consumatori di sesso femminile rispetto ai loro omologhi per il sesso maschile.

Rosa. Rosa come il colore dei prodotti commercializzati direttamente alle ragazze e alle donne.

Il dibattito sulla questione è ancora acceso, ma si stanno moltiplicando gli studi di settore che dimostrerebbero come esista un divario economico tra prodotti maschili e prodotti femminili.

Alla fine del 2015, il New York Departement of Consumer Affairs ha pubblicato uno studio che compara 800 prodotti di oltre 90 brand. Dall’indagine è emerso che i prodotti per le donne costano il 7 per cento in più rispetto agli stessi prodotti creati per gli uomini.

L’abbigliamento per ragazze costa il 4 per cento più, quello da donna adulta l’8, gli accessori il 7 per cento. Stesso discorso per i giocattoli – 7 per cento in più per i prodotti da bambine – e i prodotti per la cura della persona, con un differenziale che raggiunge addirittura il 13 per cento.

Ebbene, se gli studi sono al momento limitati agli Stati Uniti, la questione italiana potrebbe essere già identificata dal prezzo di un prodotto banale e semplice come il rasoio.

Basta una semplice visita al supermercato per osservare un fatto interessante: perché una confezione di dieci rasoi monolama da uomo di marca Bic, nella versione più semplice, costa 1,30 euro, mentre lo stesso rasoio nella confezione da cinque pezzi per donna costa 1,46 euro? Le rispettive qualità tecniche dei prodotti sono tali da giustificare un differenziale così elevato, considerando che la confezione da donna contiene la metà dei rasoi da uomo?

È un esempio banale ma non si distanzia dalle ricerche condotte negli Stati Uniti.

Ma perché le donne dovrebbe spendere così tanto? Perché pagare di più degli uomini per lo stesso prodotto?

Bisognerà domandarsi – e qui un bel mea culpa di genere non guasterebbe – se in quanto donne siamo maggiormente sensibili alle campagne di marketing delle aziende che hanno capito quali possono essere i tasti giusti da spingere – colori, font, packaging, emozioni, vanità – per invogliarci ad acquistare beni con prezzi decisamente più elevati rispetto a quelli per uomini, oltre a una gamma infinita di prodotti che oggi riteniamo indispensabili.

È poi doverosa un’altra considerazione che riguarda un prodotto odiato, per ragioni diverse, con la stessa intensità da uomini e donne: gli assorbenti. Quest’ultimi in Italia sono ancora considerati come un bene accessorio – si potrebbe dire di lusso – dato che la tassazione su questi prodotti è del 22 per cento. La stessa percentuale applicata ai prodotti del mondo hi-tech, tanto per fare un esempio.

E proprio sull’aliquota Iva imposta sui prodotti di prima necessità destinati alle donne come assorbenti igienici, tamponi, coppe e spugne mestruali, nel gennaio 2016 i deputati di Possibile hanno depositato una proposta di legge, la tampon tax, per ottenere che questa fosse abbassata al 4 per cento.

A presentare la proposta, oltre al fondatore e segretario del partito, Giuseppe Civati, furono Beatrice Brignone, Luca Pastorini e Andrea Maestri.

“Quando depositammo la pdl sulla tampon tax, iniziativa che in tutta Europa è al centro di un dibattito maturo e costruttivo”, ha raccontato a TPI Beatrice Brignone. “Qui in Italia la questione fu affrontata tra risate e battute. Invece si tratta di un tema serio. Nella nostra proposta di legge chiediamo che i prodotti igienici femminili siano tassati per quello che sono, cioè beni essenziali e non di lusso”.

“L’aliquota del 22 per cento è una tassa ingiusta che grava sulle donne, soprattutto nei casi di redditi bassi”, conclude la deputata.

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