Il primo a capire l’importanza del sequestro dei beni ai mafiosi è stato il politico e sindacalista italiano Pio La Torre, ucciso da Cosa Nostra a Palermo il 30 aprile 1982. La legge Rognoni-La Torre, approvata proprio quell’anno, ha introdotto nel codice penale il reato di associazione di tipo mafioso e le misure per sottrarre i beni di origine illecita al circuito economico dell’organizzazione criminale.
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Da quel momento sono stati compiuti molti passi avanti. Sia nella lotta alle mafie sia nell’evoluzione della legge, che è stata modificata con una serie di provvedimenti che si sono succeduti nel tempo.
Ma la pagina dei beni confiscati non è fatta solo di note positive. Secondo i dati raccolti dal progetto di data journalism “Riprendiamoli”, dal 1982 a oggi sono stati sequestrati e confiscati 27mila beni tra cui ville, castelli, alberghi, cliniche, supermercati, stabilimenti balneari, auto di lusso. Di questi 11mila sono stati riconsegnati alla comunità.
Una perdita economica non rilevante, considerando che parliamo di un patrimonio di 25 miliardi di euro, come dichiarato il 13 marzo 2017 dalla presidente della commissione antimafia Rosy Bindi.
C’è poi il caso Saguto, lo scandalo scoppiato a settembre 2015 che ha portato alla luce una serie di presunti gravi illeciti nella gestione dei beni sequestrati alla mafia a Palermo. Il 2 aprile 2017 la procura di Caltanissetta ha chiesto il rinvio a giudizio dell’ex presidente della Sezione misure di prevenzione di Palermo, Silvana Saguto, e di altre venti persone.
Ma cosa succede concretamente quando i beni vengono sottratti ai mafiosi? TPI ha provato a fare chiarezza sulla questione parlando con il prefetto Umberto Postiglione, direttore dell’Agenzia Nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata (Anbsc) e con il senatore Giorgio Pagliari, uno dei due relatori della proposta di legge per la riforma del Codice antimafia, ferma in commissione Giustizia al Senato dal 27 settembre 2016.
Beni sequestrati e confiscati
Chi viene indagato per mafia può essere destinatario di un provvedimento di sequestro, misura cautelare attraverso la quale i beni sono sottratti dalla disponibilità del soggetto. Dopo il sequestro, i beni vengono affidati a un amministratore giudiziario che li gestisce sotto la direzione del giudice.
L’amministratore cura i beni fino alla sentenza che stabilisce la revoca del sequestro (e quindi di restituzione dei beni) o la confisca di primo grado. Da questo provvedimento e fino alla destinazione finale del bene – passando attraverso la confisca definitiva – la gestione passa invece all’Anbsc.
L’agenzia, istituita nel 2010 con sede principale a Reggio Calabria, nella prima fase affianca l’amministratore con attività di programmazione, consulenza e affiancamento all’autorità giudiziaria. Nella seconda fase assume invece la gestione operativa dei beni confiscati e adotta iniziative e provvedimenti necessari per la loro assegnazione e destinazione, che deve essere “tempestiva”.
La disciplina sui beni sequestrati e confiscati alla mafia distingue tra beni mobili, immobili o aziendali. Ognuno è regolato da norme specifiche.
Nel caso delle aziende un punto fondamentale è quello di garantire che queste non falliscano, come invece purtroppo è già accaduto in passato. Il prefetto Umberto Postiglione, direttore dell’Anbsc, contattato da TPI, spiega che tutto sta nel definire quello che si intende con “azienda”.
“Spesso dietro quelle che vengono chiamate aziende si nascondono in realtà affari frutto di trame criminali”, dice il prefetto Postiglione. “Soprattutto se i clienti si possono individuare preventivamente, come nel caso degli appalti delle imprese di calcestruzzo in Sicilia”.
“È molto difficile convertire un’attività che va avanti con metodi mafiosi in un’azienda rispettando le regole e con la concorrenza dei mafiosi”, spiega. “Al contrario per esempio nel caso degli alberghi le attività proseguono in modo positivo. Ci sono gli esempi dell’hotel San Paolo a Palermo e dell’Hotel nel villaggio Mosé di Agrigento”.
Quanti beni confiscati vengono assegnati e a chi
Secondo i dati diffusi a marzo 2017 dall’Anbsc, gli immobili confiscati alle mafie e destinati nel 2016 sono stati 1.098. Nel 2015 erano 1.731 e nel 2014 appena 627. Per quanto riguarda invece i beni mobili, nel 2016 ne sono stati destinati 662 contro i 398 del 2015.
Il prefetto Postiglione, si mostra ottimista verso il futuro. “Negli anni precedenti il numero di beni avviati all’assegnazione era di 300-400. Forse quest’anno andremo anche oltre il migliaio”, dice. Uno dei problemi principali dell’agenzia, secondo il prefetto, è legato all’organico dell’ente, fermo a cento unità, e che la riforma in corso di approvazione dovrebbe raddoppiare.
I dati di Anbsc dicono che nel 2016 l’87 per cento degli immobili è stato trasferito agli enti territoriali, come i comuni. Il 64 per cento è stato assegnato a scopi sociali e il 23 per cento a fini istituzionali.
In una relazione pubblicata dalla Corte dei Conti il 23 giugno 2016, si legge che nella gestione dei beni confiscati “il problema fondamentale è rappresentato dalla lunghezza dei procedimenti e dei processi e, di conseguenza, dagli ampi spazi temporali intercorrenti tra il sequestro del bene, la sua confisca, la destinazione e la consegna ad un soggetto gestore finale per l’avvio di un progetto di riutilizzo”.
La riforma
Da settembre 2016 la proposta di legge per la riforma del codice antimafia è ferma all’esame della commissione Giustizia del Senato. Il senatore Giorgio Pagliari (Pd) sostiene che l’iter si sia bloccato per la mancanza di un compromesso tra il ministero dell’Interno e quello della Giustizia, che ora è stato raggiunto.
“La prossima settimana ci sarà la calendarizzazione”, ha detto il senatore a TPI venerdì 31 marzo 2017. “Potrebbe avvenire già nei primi giorni di maggio”.
I punti chiave della riforma nel testo attuale, secondo il senatore Pagliari, sono la valorizzazione del ruolo dell’Anbsc, la tutela dei lavoratori delle aziende confiscate e un chiarimento del regime delle case residenziali, in particolare per gli sgomberi. Lo scopo è migliorare l’efficienza complessiva del sistema.
Il caso Saguto
Il 2 aprile 2017 la procura di Caltanissetta ha chiesto il rinvio a giudizio per l’ex presidente della Sezione misure di prevenzione del Tribunale di Palermo, Silvana Saguto, e per altri venti persone.
L’inchiesta accusa Saguto di avere illegittimamente affidato beni sequestrati alla criminalità organizzata per centinaia di milioni di euro al figlio del magistrato Tommaso Virga e all’avvocato Gaetano Cappellano Seminara, nonché a una serie di altri amministratori giudiziari definiti dai pm “sottomessi o collusi”.
Per gli inquirenti, Saguto – che è stata sospesa da funzioni e stipendio sin dal 2015 – sarebbe stata a capo di un vero e proprio sistema che aveva l’obiettivo di pilotare le nomine di amministratori giudiziari compiacenti. Si indaga per corruzione, concussione, truffa aggravata e riciclaggio.
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