In queste ore sta facendo discutere una sentenza della Corte di Cassazione pubblicata lunedì 5 giugno 2017 che riguarda il capo di Cosa Nostra Totò Riina, detenuto nel carcere di Parma e gravemente malato. Il boss mafioso, che si trova in carcere da 24 anni, è stato condannato a diversi ergastoli.
Sui giornali e sul web si stanno già diffondendo polemiche riguardo alla sentenza, che riconoscerebbe a Riina il “diritto a morire dignitosamente” fuori dal carcere in quanto affetto da gravi patologie cardiache, renali e neurologiche.
Ma a ben vedere i giudici della Corte di Cassazione non hanno mai scritto che il boss debba essere scarcerato o che sia messo ai domiciliari. Né avrebbero competenza per farlo, dal momento che la Corte Suprema giudica solo su questioni di diritto e non di fatto. Per Riina, quindi, non è stato previsto alcun differimento della pena: la decisione finale spetterà al tribunale di Bologna, che ha già respinto una volta la richiesta dell’avvocato del boss.
Ma cosa dicono allora i giudici della Cassazione? Andiamo con ordine.
Riina ora ha 86 anni e soffre di una serie di patologie. Per questo, tempo fa il suo avvocato ha presentato un’istanza al tribunale di sorveglianza di Bologna in cui chiedeva la sospensione della pena o la detenzione domiciliare.
A maggio 2016 il tribunale di sorveglianza di Bologna ha respinto la richiesta, motivando la sua decisione con la trattabilità delle malattie del boss anche in carcere, dove questo viene costantemente monitorato, e con l’estrema pericolosità della sua figura.
La Cassazione, con la sentenza numero 27766 pubblicata il 5 giugno, ha annullato l’ordinanza del tribunale di Bologna per “difetto di motivazione”, chiedendo ai giudici di prendere una nuova decisione più solida dal punto di vista delle ragioni.
Per la corte, infatti, le motivazioni alla base del provvedimento in alcuni punti sono “parziali” e “contraddittorie”.
Il semplice fatto che il detenuto sia costantemente monitorato a causa della sua patologia cardiaca, ad esempio, non giustifica il rifiuto del differimento della pena e non dimostra la compatibilità delle condizioni di salute di Riina con il regime carcerario. La motivazione del tribunale di sorveglianza è ritenuta “parziale” perché nel decidere il differimento della pena va considerato lo stato di salute generale del ricorrente e non solo la sua patologia cardiaca. Bisogna infatti tenere conto anche della duplice neoplasia renale di cui soffre e della sua situazione neurologica.
È vero, la Cassazione sottolinea che tenere una persona gravemente malata in carcere può essere contrario al senso di umanità e dignità e al “diritto a morire dignitosamente”, che va riconosciuto a ogni persona anche in base alla Costituzione italiana e alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Ma questo non vuol dire automaticamente che Riina debba essere scarcerato.
Inoltre, l’ordinanza del tribunale di Bologna è contraddittoria, secondo la Cassazione, perché prende atto delle “deficienze strutturali della Casa di reclusione di Parma”, e ciononostante afferma la compatibilità dello stato di detenzione di Riina con il regime carcerario.
Infine, la Cassazione nota che la decisione del tribunale di sorveglianza di Bologna non motiva la pericolosità di Riina con precisi argomenti di fatto. Questi devono essere specificati nella motivazione, e soprattutto “rapportati all’attuale capacità del soggetto di compiere, nonostante lo stato di decozione in cui versa, azioni idonee in concreto ad interagire il pericolo di recidivanza”.
In altre parole, il tribunale di Bologna dovrà valutare di nuovo l’eventuale compatibilità delle condizioni generali di salute di Riina con il carcere e riformulare il provvedimento, stavolta con adeguate e complete motivazioni.
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