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Cos’erano le case chiuse? Ecco come funzionavano le “case della tolleranza” che Salvini vorrebbe riaprire

Di Marco Nepi
Pubblicato il 28 Feb. 2019 alle 17:17 Aggiornato il 28 Feb. 2019 alle 17:46

CASE CHIUSE COSA ERANO – Le case di tolleranza, meglio conosciute come case chiuse o più volgarmente come “bordello”, erano note per essere un luogo chiuso in cui si esercitava la prostituzione.

Il leader della Lega Nord di recente ha dichiarato l’interesse a voler riaprire le case chiuse perché “fare l’amore fa bene” . Sì al controllo sulla prostituzione da parte dello Stato, no alla liberalizzazione delle droghe: questo è il pensiero di Matteo Salvini.

Le case chiuse sono state ufficialmente sigillate con la legge Merlin, approvata il 20 febbraio 1958. Durante il Fascismo, questi luoghi erano regolamentati da leggi severe ed erano frequentati da uomini di ogni tipo, a partire dall’ufficiale per arrivare al ragazzino curioso.

LEGGI ANCHE: Perché le case chiuse si chiamavano così?

Certo è che la prostituzione esiste ancor prima del Fascismo, risale ai tempi dell’Antica Grecia – e i bordelli veri e propri furono istituiti in Italia a partire dal 1859, poco prima dell’Unità del paese. Perché si chiamano case di tolleranza? Tutto deriva da Camillo Benso, conte di Cavour, il quale autorizzò l’apertura delle case controllate dallo Stato per esercitare la prostituzione in Lombardia.

Il passaggio da case di tolleranza a case chiuse è semplice: chiuse perché le finestre di questi appartamenti erano solitamente sigillate; inoltre, le donne che lavoravano all’interno di queste strutture non erano autorizzate ad aprire né serrande né tende.

Case chiuse cosa erano | Come funzionavano?

Con l’Unità d’Italia, le case di Tolleranza divennero pane per tutto il paese (e non soltanto più limitate alla Lombardia, come previsto da Camillo Benso). Da allora, queste strutture sono sempre state ritenute legali anche durante il Fascismo, per poi essere messe a tacere per sempre con la Legge Merlin.

Ma come funzionavano? Come riporta Focus – e come abbiamo già spiegato – durante il Fascismo tutti potevano entrare nelle case chiuse: ufficiali, uomini sposati e anche ragazzini alle prime armi (che, per legge, dovevano avere almeno 18 anni) erano calamitati verso queste dimore promiscue. La consumazione non era necessariamente obbligatoria, seppur preferibile. Una volta scelta la ragazza, il cliente inseriva il suo obolo alla cassa e in cambio riceveva una marchetta da consegnare alla fanciulla in camera. In base agli oboli ottenuti a fine serata, la ragazza riceveva la sua paga.

C’erano case di alto prestigio e quelle più low cost, mentre le ragazze che vi lavoravano all’interno dovevano avere un certo bagaglio d’esperienza alle spalle. In genere, nello scantinato si trovava la cucina, la lavanderia e sala da pranzo, mentre ai piani superiori c’erano le camere e la sala d’aspetto.

La senatrice Lina Merlin ha presentato il suo disegno di legge per abolire le case chiuse in Italia nel 1948: è stato approvato dopo dieci anni.

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