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Chi abita nel palazzo occupato da CasaPound al centro di Roma che il ministero dell’Economia non vuole sgomberare

Di Laura Melissari
Pubblicato il 20 Feb. 2019 alle 15:29 Aggiornato il 20 Feb. 2019 alle 15:30

Il ministero dell’Economia ha deciso: il palazzo occupato abusivamente da CasaPound non sarà sgomberato. Il palazzo non ha problemi igienici, né strutturali, dunque non è una priorità nel piano degli sgomberi.

Il palazzo a via Napoleone III, a un passo dalla centralissima stazione Termini di Roma, è stato occupato il 27 dicembre 2003. Da allora nessuno sgombero della sede ufficiale di CasaPound.

Ma chi vive nel palazzo dell’Esquilino, il quartiere più multietnico della capitale?

Sono circa 20 appartamenti, in pieno centro, dove gli affitti sono altissimi.

Un appartamento normale per una famiglia con due camere da letto in via Napoleone III costa non meno di 1.100 euro al mese, spiega all’Espresso una agenzia immobiliare di piazza Vittorio.

Quanto vale economicamente l’immobile occupato? “Un valore sul mercato degli affitti di circa 25 mila euro al mese, includendo anche gli spazi per le iniziative politiche. 300 mila all’anno, più di quattro milioni nei 14 anni di occupazione abusiva. Soldi che ha perso il Demanio, ovvero lo Stato, proprietario dell’immobile”, scrive ancora il settimanale.

Il palazzo è inserito nella lista delle occupazioni abusive della Capitale, ma non è tra gli sgomberi più urgenti.

Come spiega ancora l’Espresso, citando gli uffici capitolini, non c’è mai stato un censimento delle famiglie che abitano in via Napoleone III, spiegano gli uffici capitolini.

Non è dato sapere ufficialmente dunque se le famiglie che abitano nello stabile siano famiglie bisognose in reale emergenza abitativa.

Secondo quanto rivela l’inchiesta dell’Espresso però, i residenti del palazzo sono proprio i vertici nazionali dell’organizzazione di estrema destra. Tra i nomi noti del movimento, ci sono Simone Di Stefano, Maria Bambina Crognale, la moglie del presidente Gianluca Iannone, che hanno indicato via Napoleone III numero 8 come residenza anagrafica in alcuni documenti ufficiali.

“Il Grand Hotel CasaPound”, come lo definisce il settimanale l’Espresso, è anche la sede amministrativa di cooperative e associazioni che gravitano intorno a CasaPound.

L’interazione di CasaPound con il quartiere è praticamente inesistente, fatte salve le “passeggiate per la sicurezza” o altri sit in sporadici.

Insomma, molti vertici dell’organizzazione abitano abusivamente – e gratuitamente – in un palazzo di proprietà del Demanio, quindi dello Stato.

Quando alcuni mesi fa era circolata l’ipotesi di un imminente sgombero, Gianluca Iannone disse: “Sarebbe un atto di guerra. Ma se non altro vorrà dire che, in un’epoca ignobile come questa, anche noi avremo la possibilità di morire per un’idea”.

“Gli abusivi di CasaPound hanno potuto vivere e agire politicamente nel cuore della capitale senza mai pagare neanche un euro per gli spazi e senza che nessuno bussasse alla loro porta per chiedere il conto”, scrive l’Espresso.

In 14 anni nessuno ha reclamato il possesso di quell’edificio. Nel 2003, dopo il blitz di occupazione, ci fu una denuncia da parte del Miur, a cui era destinato l’immobile.

CasaPound dal 2003 ad oggi è diventata di fatto proprietaria dell’immobile, trasformando gli ex uffici in appartamenti e installando sulla facciata l’enorme scritta in stile fascista.

E intanto, come spiega l’Espresso, va avanti un rimbalzo di responsabilità tra Demanio e Ministero dell’Istruzione, per chi è competente sull’immobile.

Nel 2010 il Demanio sembra avere l’intenzione di cedere il palazzo al Campidoglio per 11 milioni e 800 mila euro, durante l’amministrazione Alemanno. Le opposizioni bloccano l’operazione, in cui vedono un chiaro intento da parte della giunta Alemanno di appropriarsi del palazzo per concederlo in comodato d’uso a CasaPound.

Il mistero sull’occupazione riguarda anche le utenze dei servizi di acqua e luce. Nel 2016 erano state tagliate per poi essere misteriosamente riallacciate. Acea, contattata dall’Espresso, non ha commentato la vicenda, né rilasciato informazioni sulle intestazioni delle bollette.

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