Il 3 settembre 1982 un veicolo si affiancò accanto all’automobile del prefetto di Palermo, il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, crivellandola di colpi di kalashnikov, uccidendo sia il prefetto che la moglie, Emanuele Setti Carraro.
“Qui muore la speranza dei palermitani onesti”, recitava una scritta che fu affissa il giorno seguente in via Carini, la strada del capoluogo siciliano in cui Dalla Chiesa venne ucciso.
Nato nel 1920 a Saluzzo, in Piemonte, Dalla Chiesa era presto entrato nell’esercito, per il quale combatté nel 1941 in Montenegro nell’ambito della Seconda Guerra Mondiale. Passato all’Arma dei Carabinieri e trasferito ad Ascoli, dopo l’armistizio dell’8 settembre collaborò con i partigiani.
Negli anni successivi alla guerra, si occupò soprattutto della lotta al banditismo nell’Italia meridionale, quindi negli anni Sessanta fu trasferito in Sicilia, dove si occupò del soccorso ai terremotati del Belice e della scomparsa del giornalista Mauro De Mauro.
Durante gli anni Settanta, la sua attività si focalizzò sulla lotta alle Brigate Rosse, ottenendo risultati molto apprezzati e che portarono il ministero dell’Interno, nel 1982, a nominarlo prefetto di Palermo proprio per fare con Cosa Nostra ciò che aveva fatto con i terroristi di sinistra.
Il 3 settembre, però, un’auto si affiancò a quella dove viaggiava, sparando una raffica di kalashnikov che lo uccise sul colpo insieme alla compagna Emanuela Setti Carraro. Anche l’agente Domenico Russo rimase ucciso il 15 settembre in seguito alle ferite riportate nell’attacco.
Per questi omicidi, diversi leader di Cosa Nostra, tra cui Totò Riina e Bernardo Provenzano, sono stati condannati all’ergastolo come mandanti.
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