Cappato Corte costituzionale Parlamento – Il 24 ottobre la Corte Costituzionale, che doveva pronunciarsi sulla questione di legittimità, sollevata dalla Corte d’assise di Milano nell’ambito del processo sulla morte di Dj Fabo, dell’articolo 580 del codice penale che punisce l’istigazione e l’aiuto al suicidio, ha rinviato la decisione al 24 settembre 2019.
Il motivo del lungo rinvio è dovuto al fatto che la Consulta ha chiesto al Parlamento di intervenire sul suicidio assistito, per colmare un vuoto legislativo.
Il comunicato della Consulta nota che “l’attuale assetto normativo concernente il fine vita lascia prive di adeguata tutela determinate situazioni costituzionalmente meritevoli di protezione e da bilanciare con altri beni costituzionalmente rilevanti”. Per questa ragione, i giudici costituzionali hanno deciso di rinviare la trattazione della questione al 24 settembre 2019.
Al termine dell’udienza, Cappato aveva affermato: “Avevo capito che tra gli obiettivi di questo governo ci fosse la rapida e certa trattazione delle leggi di iniziativa popolare. Noi da 5 anni attendiamo l’intervento del legislatore sulla nostra legge di iniziativa popolare per l’eutanasia legale.
Il processo in Corte d’assise a Milano che vede imputato Marco Cappato per il suicidio assistito di Dj Fabo resterà “ovviamente sospeso” in attesa che la Corte costituzionale, nel settembre 2019, si pronunci sulla questione di legittimità.
Il parlamento, secondo le disposizioni della Corte Costituzionale, dovrà adesso colmare quel vuoto.
“Ora il Parlamento ha la strada spianata per affrontare finalmente il tema, e per discutere la nostra proposta di legge di iniziativa popolare per l’eutanasia legale, come sta accadendo nel Parlamento spagnolo”. “E’ una decisione storica, che a mia memoria non ha precedenti”, ha detto Filomena Gallo, uno dei legali del caso Cappato-Dj Fabo e segretario dell’associazione Coscioni, “perché dà un monito con una data entro cui deve legiferare. Si tratta di un modello mutuato dalla Corte costituzionale tedesca, che ha poteri ordinatori nei confronti del Parlamento”.
“La decisione della Consulta è un’occasione importante per il Parlamento. Serve più che mai adesso aprire il dibattito su un argomento delicato rispetto al quale ci deve essere attenzione e sensibilità. La politica affronti il tema”. Lo scrive su twitter il presidente della Camera Roberto Fico.
Perché era stata sollevata la questione di legittimità dai giudici di Milano
I giudici milanesi avevano sollevato la questione della legittimità costituzionale dell’articolo 580 del codice penale – intitolato “istigazione o aiuto al suicidio” e introdotto nel 1930 con il codice Rocco – nella parte in cui incrimina le condotte di aiuto al suicidio in a prescindere dal loro contributo alla determinazione o al rafforzamento del proposito di suicidio.
Nell’ordinamento italiano l’eutanasia e il suicidio assistito sono atti entrambi punibili dagli articoli 575, 579, 580 e 593 del codice penale.
Tale interpretazione violerebbe, secondo la Corte d’assise di Milano, alcuni punti della Costituzione in forza dei quali il diritto a porre fine alla propria esistenza costituirebbe una libertà della persona, facendo ritenere quindi “non lesiva di tale bene” la “condotta di partecipazione al suicidio che però non pregiudichi la decisione di chi eserciti questa libertà”.
Anche la previsione, per queste condotte, di una pena compresa tra i 5 e i 12 anni, senza distinguerle affatto da quelle di istigazione al suicidio, sarebbe in contrasto, sostengono i giudici milanesi, con il principio di ragionevolezza della pena in funzione dell’offensività del fatto.
“Il diritto alla libertà e all’autodeterminazione, che è declinato nell’articolo 32 della Costituzione con riferimento ai limiti dei doveri/poteri d’intervento dello Stato a tutela della salute delle persone, è stato affermato in modo chiaro dalla giurisprudenza costituzionale e di legittimità in materia di trattamenti terapeutici, riconoscendo in modo sempre più deciso il diritto del paziente all’autodeterminazione nell’individuare le cure a cui sottoporsi e l’obbligo di rispettarne la decisione, anche se da questo possa derivare la sua morte”, si leggeva nell’ordinanza di rimessione trasmessa alla Consulta dalla Corte d’assise di Milano, in cui si citano anche le sentenze sui casi Welby ed Englaro, nonchè la legge sul biotestamento varata nel 2017.
Secondo la Corte milanese, “deve escludersi che il diritto all’autodeterminazione terapeutica del paziente incontri un limite allorche’ da esso consegue il sacrificio del bene della vita”.
La vicenda
Fabiano Antoniani, noto come dj Fabo, a causa di un incidente era diventati tetraplegico, cieco e non più autosufficiente. Nel febbraio 2017 , aveva deciso di ricorrere al suicidio assistito. Cappato, esponente dei Radicali e dell’associazione Luca Coscioni, lo aveva accompagnato in una clinica svizzera e poi si era autodenunciato. Rischia fino a dodici anni di carcere.
“Fabo è morto alle 11:40, ha scelto di andarsene rispettando le regole, di un paese che non è il suo”. Con questo messaggio postato su Twitter, Marco Cappato, l’esponente radicale dell’associazione Luca Coscioni, aveva annunciato la morte di Dj Fabo in Svizzera.
Fabiano si era rivolto al presidente della Repubblica Sergio Mattarella per chiedere l’eutanasia e poter scegliere liberamente sulla propria vita.
Il ruolo del governo
Il governo si è costituito a difesa della legge ed è stato rappresentato dall’avvocato dello Stato Gabriella Palmieri.
“Se un Presidente del consiglio a nome del governo interviene in giudizio contro di me invocando l’inammissibilità e infondatezza della questione rimandando all’intervento del legislatore, questa è un’assunzione di responsabilità politica”, ha aggiunto l’esponente dei radicali.
“Non chiediamo un lugubre diritto a morire, ma il diritto a essere aiutati a morire di mano propria”, in quei casi in cui “ci dobbiamo chiedere se si possa parlare ancora di suicidio, quando il corpo si è congedato dalla persona e lo spirito è prigioniero”, aveva spiegato il professor Vittorio Manes, il difensore Cappato, durante l’udienza.
“È la prima volta che la Corte deve decidere sul suicidio assistito e abbiamo di fronte un caleidoscopio di possibilità: ciò dimostra che nulla è precluso, tutto è percorribile, l’unica strada non percorribile è quella di non decidere perché una pronuncia di inammissibilità lascerebbe un retrogusto amaro di indifferenza”.
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