Il ministro dell’Istruzione del governo giallo-verde, Marco Bussetti, è finito nella bufera per alcune sue dichiarazioni rilasciate al quotidiano La Stampa. Nell’intervista, in edicola martedì 9 aprile 2019, il ministro ha parlato del calo degli studenti iscritti nelle scuole italiane. E ha sdoganato anche lui lo slogan “prima gli italiani”.
Alla domanda se secondo lui una possibile soluzione possa essere quella di regolarizzare il flusso degli immigrati, ammettendo così più bambini stranieri a scuola, Bussetti ha risposto così: “La scuola è il luogo principale di inclusione nella nostra società. Regolare i flussi tutela innanzitutto chi cerca rifugio in Italia, avendone diritto. Penso anche, però, che il primo pensiero debba sempre essere quello di aiutare i nostri giovani affinché possano farsi una famiglia, avere dei figli, vivere con serenità il loro progetto di vita”.
Le parole di Bussetti, però, in poche ore hanno fatto il giro d’Italia. E hanno scatenato una serie di critiche da parte di sindacati, associazioni e opposizioni.
“Quando Bussetti parla di “nostri figli” a cosa si riferisce? Ai bambini nati in Italia, che frequentano le scuole, parlano i dialetti, tifano le nostre squadre di calcio? La scuola, dice la Costituzione, è il primo luogo di integrazione e uguaglianza. Le sue parole sono vergognose”, ha scritto su Twitter Ettore Rosato, esponente Pd e vicepresidente della Camera dei deputati.
Sulla stessa linea anche il capogruppo del Pd al Senato, Andrea Marcucci: “Vorrei ricordare al ministro Bussetti che a scuola vengono prima la capacità ed il merito, non i nostri figli. È letteralmente incredibile che un ministro della Repubblica sovverta la Costituzione e dica che nella scuola pubblica prima gli italiani e dopo tutti gli altri. Capacità e merito non hanno nazionalità o colore della pelle”.
“Tutti gli studenti – ha dichiarato anche Pino Turi, segretario generale della Uil – meritano la stessa attenzione. Gli studenti non sono graduabili, non ci possono essere né primi né secondi. Non ci sono immigrati, stranieri o italiani, ma persone che devono essere poste tutte nelle stesse condizioni”.