Antonella Bundu ha in mente una rivoluzione per la sua Firenze.
Quarantasette anni, padre della Sierra Leone e madre fiorentina, attivista per i diritti civili in Oxfam, la Bundu sarà la prima candidata sindaco nera nella storia della città.
Certamente, nel 2019, non è questa la notizia più importante che la riguarda. Per ora – e stando ai suoi dichiarati intenti siamo solo all’inizio – la Bundu passerà alla storia per aver compiuto un piccolo miracolo.
Per la sua candidatura come sindaco di Firenze è infatti riuscita a convincere un fronte ampio di partiti: Sinistra italiana, Rifondazione comunista, la lista civica Firenze città aperta, Mdp articolo 1 e Possibile e Potere al Popolo.
Il merito della candidata è stato quello di non aver mai fatto parte di un partito di sinistra, ma di aver comunque lavorato nel sociale ed aver fatto politica dal basso.
A TPI Antonella Bundu racconta il suo percorso politico e come intende affrontare questa candidatura.
“Con grandissima soddisfazione ho appreso la decisione degli iscritti di Potere al Popolo. Aspettavamo loro per comunicare questo risultato, avevamo una gran parte della sinistra ma ora siamo completi”.
Io ci credo veramente, vedo la risposta della gente, vedo tante persone che questa volta sono decise a votare. Ci credo con la speranza di riuscire a ottenere un ottimo risultato, non una piccola percentuale.
Se lavoriamo bene, con un programma dettagliato, possiamo farcela e forse andiamo al ballottaggio.
Che ci sia un clima più ostile, non solo a Firenze ma in tutta Italia, è innegabile. Questo razzismo istituzionalizzato, questo appoggiare delle leggi che vanno contro la Costituzione, sono elementi che fanno da terreno fertile. Anche qui a Firenze sono state fatte delle proposte di daspo, di allontanare lo straniero se commette un reato.
Se uno commette un reato esistono leggi che puniscono indipendentemente da dove vieni.
Si è scatenato tutto questo odio che covava già da tempo. Ma devo dire che da un anno a questa parte non c’è più nemmeno la paura di mostrare il volto quando si dicono certe cattive. Da quando è stato ucciso Idy Diene, sono uscite fuori anche mamme di bambini, persone che conosco, che si sono lasciate andare a commenti assurdi.
Ne ho vissuti diversi, anche quando una signora mi chiamò “negra di merda”, la portai in tribunale, è stata poi condannata per quelle parole.
Questo è successo anni fa, non è qualcosa di nuovo, ma all’epoca eravamo sole in strada, penso avrebbe avuto un po’ di timore a farlo davanti ad altre persone, mentre ora è qualcosa di sdoganato. Si possono usare parole in libertà. Qaundo scrivo sui social mi commentano: “dovresti essere grata che ti abbiamo accolto”.
La scelta delle parole è importante. Ora quando dici che lavori per una Ong o simpatizzi per una Ong, ti guardano come se avessi detto che lavori per un’organizzazione criminale.
Hanno stravolto tutto, anche la percezione delle persone che si sentono legittimate a tirar fuori tutto l’odio.
Sì, sono nera, sono donna e voglio lanciare un messaggio forte: noi non ci stiamo per niente alle discriminazioni. L’Italia ha anche una parte bella e non ci sta.
Una donna che si candida a sindaco in un mondo, quello della politica italiana, dove le donne faticano ad emergere deve essere la normalità.
Le donne partono sempre svantaggiate. Ci sono donne che però riescono a tenere le fila di tutto e che a livello di concretezza fanno la differenza.
Io come donna di sinistra mi sento rappresentata dalle politiche di sinistra, mi sento “usata” – nel senso buono – come un simbolo per dare un segnale di apertura. Mi sembra che ci sia l’intento di fare delle proposte serie.
Mio padre è venuto qui con una borsa di studio dalla Sierra Leone per studiare architettura, quando il sindaco La Pira organizzava gli incontri tra studenti di nazionalità diverse. Mia madre studiava matematica all’università e così è avvenuto questo incontro. Poi siamo nati noi. Quando mio padre si è laureato ci siamo trasferiti in Sierra Leone, dove sono nata.
Ma è un percorso come quello di tanti che dovrebbe solo ricordare di cosa sono capaci città come Firenze.
La mia piccola storia ricorda che Firenze non è sempre stata chiusa, è una città che propone, culturalmente è aperta. Stiamo ancora vivendo di quello che è stato fatto 500 anni fa. Sarebbe ora di ricominciare ad avere un nuovo Rinascimento. Firenze è l’unico posto dove si sono messe insieme tutte queste forze di sinistra, è importante anche a livello simbolico.
La sinistra deve farlo certamente. La politica fallimentare è il voler ostinatamente parlare alla pancia della gente. Ho visto Calenda che faceva discorsi sui migranti asserendo che non è possibile “farvi venire tutti qui”. Insomma discorsi poco di sinistra.
Le persone che ci sono sul territorio vanno aiutate, non lasciate allo sbando. Così come gli sgomberi, occorre un’alternativa, altrimenti li lasci al lavoro nero. Vanno inseriti a livello legale. Lasciarli in strada non ha senso.
Bisogna riuscire a parlare a tutti. Io sono molto emotiva ma non sono cattiva. Io credo che se uno con calma prova a spiegare le cose, a dare delle informazioni, a quel punto la gente ha la possibilità di decidere. Anche la paura di ciò che non si conosce viene meno. Evitare il confronto con una certa parte del Paese non porta al successo. Confrontarsi dando informazioni vere è fondamentale.
Mettiamo le questioni nella giusta prospettiva, come nel caso delle Ong.
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