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L’inferno di Flavia: “Tornavo a casa con i lividi. Io vittima di bullismo, adesso parlo ai giovani”

Flavia ha subito incredibili violenze ripetute per anni. Grazie al suo coraggio è uscita dal tunnel del bullismo reale e virtuale

Di Veronica Di Benedetto Montaccini
Pubblicato il 7 Feb. 2019 alle 13:42 Aggiornato il 18 Apr. 2019 alle 08:24

“Tante, tante volte ho sperato di scomparire. Mi dicevano: fai schifo, sei inutile, puzzi, occupi spazio. E tornavo a casa con i lividi. Tutto questo me lo porto dentro, ma adesso voglio aiutare gli altri”.

A raccontare a TPI, proprio nella Giornata Nazionale contro il Bullismo, i terribili episodi di bullismo e cyberbullismo vissuti sulla sua pelle è Flavia Rizza. La ventenne romana è stata bersaglio di alcuni suoi compagni di scuola che l’hanno sottoposta a maltrattamenti fisici, verbali e anche virtuali sui social network.

Flavia ha avuto però il coraggio di reagire e di raccontare cosa le stava succedendo, entrando in contatto con l’iniziativa itinerante della Polizia Postale, “Una vita da social”, volta alla sensibilizzazione su questi temi, diventandone poi testimonial.

Da vittima a modello per altri giovani, adesso Flavia non si vergogna a narrare di fronte a grandi platee l’inferno che ha provato.

Molto spesso il bullismo non viene preso seriamente dall’opinione pubblica, viene definito “una ragazzata”. Quale è stata la tua esperienza personale?

Io sono stata una vittima di bullismo dagli otto ai dodici anni. Dalle elementari alle medie le prese in giro, le spinte e i calci sono stati quotidiani. Soffrivo di obesità, ero molto molto cicciona. E questo era diventato il punto centrale degli attacchi. Le frasi mi entravano nel corpo come delle pugnalate: “Sei una balena!”, “Sei una lardosa schifosa, levati che occupi spazio”, “Sei un essere inutile”, “Puzzi”. E alla fine ci avevo creduto. E ti ci senti davvero inutile, enorme e di intralcio.

Poi i bulli della scuola non si fermavano lì. Era soprattutto un mio compagno di classe che mi picchiava, rubava le mie cose, il diario, i quaderni, l’astuccio. Avevo paura di lui. Mi spingevano, finivo a terra e quando hai tanti chili di troppo non sei agile, non riesci a reagire. Tornavo a casa sempre con lividi nuovi.

Non è affatto una ragazzata, questa situazione mi aveva portato a isolarmi, a stare sempre da sola, a diventare aggressiva perché non mi fidavo più di nessuno. Mi avevano rubato la curiosità, io che prima andavo così bene a scuola.

Quando si è trasformato da bullismo a cyberbullismo?

Poi questo incubo orribile è continuato su Facebook. Queste persone cattive avevano creato ben due profili falsi, impossessandosi della mia identità. Uno lo usavano per prendermi in giro con fotomontaggi e frasi velenose.

Nell’altro, si spacciavano proprio per me. Questo è stato quello più grave, andavano in giro a dire ai miei pochi amici e conoscenti che avevo cose completamente false. Ho perso le poche persone che mi volevano bene. E ancora non c’era una legge chiara sul cyberbullismo.

Ti sei appellata al piano della Polizia Postale “una vita da social”, è stato utile?

Abbastanza, ma mi sono rivolta alla polizia troppo tardi, erano passati anni. Mai nessuno è stato punito. I bulli hanno avuto conseguenze solo a scuola, con note e sospensioni.

Forse è stata un’iniziativa utile per far risaltare l’argomento a livello nazionale, ho per esempio incontrato l’ex presidente della Camera Laura Boldrini, che si è battuta molto per la sensibilizzazione contro il cyberbullismo.

> Leggi anche: “Cosa prevedere la legge per il cyberbullismo”
Poi hai avuto il coraggio di denunciare. Chi ti ha aiutato di più in questo percorso?

Sì, poi al liceo ho denunciato. Una delle spinte più forti è stata sicuramente vedere che dopo l’inferno delle elementari e delle medie, riuscivo a parlare a poco a poco con nuove persone. Ho frequentato le psicologhe del centro di ascolto a scuola. E anche i miei genitori mi hanno creduto.

Ti sei trovata dunque di fronte alla cattiveria umana. Chi erano queste persone? Le hai più incontrate?

Oggi, credo che anche loro siano delle vittime in qualche modo. Nelle scuole non si dovrebbero prendere così sottogamba i problemi interni, psichiatrici, dei ragazzi. Quelle persone non sapevano provare affetto, non sapevano come sfogare la loro rabbia. Nell’età adolescenziale bisognerebbe sfogarla nello sport, nell’imparare uno strumento, e non nel picchiare i compagni più deboli.

Li ho rivisti, abitano ancora nel mio quartiere, fanno l’università. A volte mi vengono i brividi a ripensare a quei momenti.

Questa violenza ha segnato la tua vita, anche se ne sei uscita. Quale fardello ti porti dietro?

Mi porto dentro l’insicurezza, profonda. Per anni ho avuto paura del contatto fisico e questo incide pesantemente nel rapporto con gli altri, come si può  immaginare. Per questo deve essere considerato molto grave il fenomeno del bullismo. Che sì, si può combattere, ma dovrebbe essere ridotto a zero. Io mi sono salvata, diciamo. Ma quante persone si ammazzano?

Basti pensare alle tragiche storie di Tiziana Cantone, 31enne suicida perché presa di mira sui social dopo la pubblicazione di un video hard, o di Carolina Picchio, giovanissima studentessa che si è uccisa per lo stesso senso di vergogna.

Per fortuna o per forza interiore, non lo so, io mi sono rialzata. Uscire dall’ombra mi ha aiutato, sono anche dimagrita di quaranta chili.

Ora sei un esempio per altri ragazzi. Cosa si può fare per evitare gravi atti di bullismo?

Quello che dico sempre è che raccontando agli altri cosa ti è successo, fai già un grande passo avanti. Anche solo quando lo dici ad un’altra persona, il peso delle difficoltà è diviso a metà. Figuriamoci quando ne parli con una classe, con un scuola.

 

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