Dopo che la votazione sulla decadenza lo ha privato di un seggio parlamentare per la prima volta in 20 anni, Silvio Berlusconi sembra affrontare la crisi più nera della sua carriera politica, e potrebbe non uscirne indenne.
Secondo un articolo pubblicato sul Guardian a firma di John Hooper, Berlusconi, definito il “politico di maggior successo in Italia dopo la seconda guerra mondiale” e “il suo più longevo primo ministro moderno”, ha perso “quell’aura abbagliante che ha accecato gli elettori nascondendo i suoi difetti e li ha convinti ad eleggerlo primo ministro per tre volte.”
Questo, però, non vuol dire che sia finito: rimane il leader di un partito che può contare sul sostegno di 129 dei 951 membri del parlamento italiano nonché capo di un impero economico che comprende tre canali televisivi e molto altro. “La festa può essere finita”, scrive Hooper, “Ma Silvio Berlusconi sembra ancora pronto a fermarsi per un po’ sulla porta di casa.”
Secondo Stefan Ulrich, della Süddeutsche Zeitung, la “Berluscomania” è ancora lontana dall’essere curata. Per vent’anni, infatti, i sostenitori di Berlusconi a destra e suoi avversari a sinistra, i politici, i giornalisti, i giudici sarebbero stati totalmente concentrati su di lui, affetti da una malattia molto diffusa chiamata appunto “Berluscomania”. Per questo, secondo il giornalista, a prescindere dall’addio del cavaliere alla politica l’ideologia che è nata con lui non sparirà facilmente.
“Il berlusconismo viene fuori dal ventre profondo del Paese”, commenta Ulrich, “Esso si basa sulla demonizzazione di una presunta sinistra comunista, il disprezzo di uno Stato inefficiente, il mancato rispetto delle sue leggi e la volontà di eludere questo a proprio vantaggio.” Citando le parole del professor Gian Enrico Rusconi dell’Università di Torino potremmo dire: “Berlusconi non è la causa, ma il sintomo di questo atteggiamento verso la vita.”