Nel periodo tra gennaio 2012 e oggi 11 banche italiane hanno concesso finanziamenti per una somma totale di 4 miliardi e 248 milioni di euro a 26 compagnie internazionali coinvolte in diverse fasi della produzione, manutenzione e modernizzazione di armi nucleari.
È quanto viene affermato nel rapporto annuale Don’t Bank on the Bomb, condotto da Pax in collaborazione con Profundo, rispettivamente una Ong che si batte contro le risoluzioni armate dei conflitti e un istituto di ricerca economico olandese.
Tra i gruppi bancari pubblici e privati nostrani che avrebbero finanziato aziende produttrici di ordigni bellici atomici vengono elencati il Banco di Monte dei Paschi di Siena, Banca Popolare dell’Emilia Romagna, Gruppo Carige, Gruppo BPM, Banco di Sardegna, Banco Popolare di Sondrio, UBI Banca, Banco Popolare e Anima.
Ma soprattutto Intesa San Paolo e Unicredit, con finanziamenti di circa un miliardo di euro in più rispetto alla media degli istituti bancari citati in precedenza.
Questo significa che i risparmi investititi in una delle banche menzionate dal rapporto potrebbero venire utilizzati per finanziare un’azienda coinvolta nel business delle armi di distruzione di massa.
A Intesa San Paolo vengono imputati finanziamenti per un totale di 1 miliardo e 271 milioni di euro a compagnie come la Honeywell International, attiva nella produzione di trizio per ordigni atomici e che dirige il National Security Campus, dove viene prodotto l’85 per cento dei componenti non nucleari per le testate atomiche statunitensi.
Oppure la Northrup Grumman, compagnia statunitense coinvolta nella produzione e manutenzione del Minuteman III, un missile balistico intercontinentale con la capacità di far viaggiare testate nucleari a una distanza di quasi 10mila chilometri.
Unicredit invece avrebbe finanziato con una somma pari a 1 miliardo e 476 milioni di euro progetti di aziende produttrici di armi atomiche fra le quali figurano nuovamente la Honeywell International e Northrop Grumman, oltre al gruppo Airbus e il colosso statunitense Lockheed Martin.
Quest’ultimo è responsabile per la costruzione dei missili nucleari Trident II e Minuteman III, e fa parte della joint venture AWE-ML, che dirige l’Atomic Weapons Establishment britannico, l’organismo che progetta e produce le testate nucleari oltremanica.
E poi c’è il filo conduttore che tiene unite tutte le 11 le banche citate dal rapporto, ovvero l’azienda italiana leader nel settore della difesa, di cui il ministero Italiano dell’Economia e delle Finanze è detentore al 30,2 per cento: Finmeccanica.
Quest’ultima era stata esclusa dal rapporto relativo al 2012, ma è stata inclusa nuovamente negli ultimi due anni poiché le ricerche effettuate da Pax e Profundo hanno portato alla luce nuovi contratti che, a partire dal 2013, la legherebbero alla produzione di armi nucleari.
Si tratterebbe della produzione di testate nucleari destinate a far parte dell’arsenale francese attraverso la joint-venture MBDA e di un programma per la consegna di veicoli di supporto al missile balistico intercontinentale dell’esercito statunitense.
Per l’Italia, tuttavia, non ci sono soltanto brutte notizie. Banca Etica è stata infatti premiata per il suo comportamento virtuoso, essendo l’unico istituto finanziario del Paese che pubblica l’elenco completo di tutti i finanziamenti accordati alle persone giuridiche, oltre a rifiutare categoricamente qualsiasi finanziamento al settore bellico.
Secondo Andrea Baranes, giornalista esperto di finanza e collaboratore della Fondazione Culturale Responsabilità Etica, del gruppo Banca Etica, il cittadino ha “il diritto, e per molti versi il dovere, di chiedere alla banca come sta impiegando i soldi che deposita presso di essa”, in particolar modo dal momento che in Italia le banche non pubblicano queste informazioni in maniera autonoma – pur non essendoci alcuna normativa che impone il segreto bancario in questo senso.
Data l’assenza di trasparenza da parte delle banche, se il cittadino non si pone alcuna domanda corre il rischio concreto che i propri risparmi vadano a finanziare indirettamente un’azienda produttrice di ordigni bellici nucleari.
“La questione di fondo è che quando depositiamo i nostri risparmi in banca, o li affidiamo a un intermediario finanziario, non sappiamo che fine faranno”, sostiene Baranes. “Il denaro non è neutro e non sta fermo, al contrario. I maggiori attori finanziari sono banche, fondi pensione e di investimento, assicurazioni. Tutti soggetti che si alimentano dei nostri soldi, ma sulle cui decisioni solitamente sappiamo poco o nulla”.
Su scala globale, stando ai dati di Don’t Bank on the Bomb, da gennaio 2012 a oggi almeno 382 fra istituti bancari, fondi di pensione o di investimento hanno messo a disposizione quasi 4 miliardi e 600 milioni di euro in finanziamenti destinati ad aziende produttrici di armi nucleari.
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