Ore 8 del mattino, come qualunque giorno feriale, i lavoratori imbracciano le loro borse e si accalcano su una delle tante banchine di viale Trastevere aspettando il tram.
Quando l’8 giunge alla fermata, riuscire a salire è quasi impossibile, ma tra una spinta e qualche piccolo diverbio si riesce a superare la barriera.
Inizia così il nostro viaggio nel mondo Atac, tra interminabili attese, confessioni anonime e scontento serpeggiante.
“Non capisco perché dell’Atac si tenda a parlare sempre peggio di quanto sia la situazione in realtà, è come se ci piace farci male”, si domanda un manager dell’azienda che chiede di restare anonimo.
“Sarà perché gli italiani hanno questa tendenza a buttarsi giù a remare contro anche se sono sulla stessa barca”, prosegue.
Eppure, tra sprechi, disservizi, e gestione fallimentare, la municipalizzata che da oltre un secolo gestisce il trasporto pubblico capitolino, è arrivata a un punto di non ritorno.
A parlare sono i numeri: 1,3 miliardi di debiti accumulati, quasi 2mila fornitori sul piede di guerra, vetture con un’età media di 12 anni, dipendenti stanchi e pressati da turni troppo sfiancanti e da ferie accumulate e mai disponibili e migliaia di pendolari sempre più infuriati. E come se non bastasse, una gestione che tenta inutilmente di risanare i conti ormai da troppi anni in rosso.
Dallo scandalo Parentopoli alla truffa dei biglietti falsi, passando per il furto del carburante nei depositi, ai mezzi manomessi, fino a quelli che prendono fuoco in strada: Atac è sempre stata segnata da criticità, scandali e bilanci in perdita.
Una serie di vicende che hanno contribuito non solo a macchiare la reputazione della società ma anche a danneggiare il suo giro d’affari. Nel corso degli anni la partecipata di via Prenestina ha infatti assistito a un crollo dei ricavi e ad un aumento incontrollabile dei debiti.
Alcuni scandali ci sono stati, altri, probabilmente sono stati voluti da chi è contro Atac.
Ma allora dove risiedono i problemi di una delle società più grandi d’Italia?
“Buona parte del bilancio di questa azienda è legato allo stipendio dei dipendenti, dal momento che il servizio si fa sul personale, di conseguenza è evidente che stiamo assistendo a una stretta sui dipendenti, in termini di orari e turni, alcune cose sono state fatte in modo non molto preciso”, ammette il manager. “Il personale costa, così come costano i pezzi di ricambio e gli autobus nuovi”.
Credit: AFP PHOTO / FILIPPO MONTEFORTEMa secondo il manager non sono stati gli scandali a creare i veri problemi della società, i problemi reali derivano dal finanziamento pubblico all’azienda, che secondo il manager, è di gran lunga inferiore a quello di molte altre società di trasporti in Italia.
“Cè una forte discrepanza dei fondi che hanno a disposizioni le regioni per il servizio del TPL: con il governo Berlusconi-Lega, D’Alema-Lega e col centro sinistra i fondi sono stati distribuiti male. Le società di trasporti in Lombardia ricevono della regione 900 milioni l’anno, quelle della Toscana 700 milioni, le aziende del Lazio solo 600 milioni. A questi vanno aggiunti i privati. L’Atac costa meno di quello che costano le altre aziende in altre regioni”.
E dunque per il manager il primo nodo da sciogliere è proprio questo, per poi poter sanare il resto.
Non contano gli scandali, nemmeno quello di Parentopoli, la vicenda di assunzioni pilotate dell’era Alemanno, che oltre all’Ama ha coinvolto anche l’Atac. Una vicenda portata sotto i riflettori da Repubblica a novembre 2010 con quelle 854 assunzioni per chiamata diretta fatte dalla società in due anni, nonostante i 120 milioni di passivo di bilancio.
Si partiva dall’amministratore delegato, Adalberto Bertucci, fino al figlio, il genero, il nipote, la cognata del figlio, l’ex segretaria, il figlio della ex segretaria, la nuora della ex segretaria, la figlia della segretaria del figlio. Tutti parenti e amici di amici che trovarono un posso fisso a via Prenestina.
“Alcuni di quelli assunti con Parentopoli sono stati convertiti in operativi”, spiega il manager. Ma su questo dato non sono tutti d’accordo.
Già, perché il fulcro centrale, quello che proprio non torna, nemmeno ai dipendenti stessi, è il numero dei lavorati che in Atac sono distribuiti all’operativo.
“Le famose ottocento assunzioni a chiamata diretta in ufficio di Alemanno sono solo una minima parte delle nefandezze, le persone per anni sono entrate a via Prenestina e noi del movimenti siamo sempre i soliti scemi. Non prendiamoci in giro. Non sappiamo nemmeno come coprire le stazioni”.
A parlare è un operatore di stazione (ODS) , anche lei chiede l’anonimato, in un’azienda che a questo punto, viene da pensare, deve far molta paura.
Questa fonte fa i conti, e si domanda: “Siamo 13mila in Atac, 6mila scarsi guidano, in metro saremo 1.000, si può sapere gli altri cosa fanno?”.
Eppure i numeri riportati da autisti e operatori potrebbero non corrispondere a realtà, tenendo conto che nell’operativo rientra anche il personale addetto alle verifiche sulle strisce blu, il persone delle biglietterie e quello dei parcheggi Atac. Un numero che raggiungerebbe le altre mille unità, riportando a 1.600 gli impiegati negli uffici di via Prenestina.
Ma l’operatrice prosegue: “noi vendiamo trasporto, eppure sembra che vendiamo ministero. Abbiamo tantissimi giorni di arretrati. Per non parlare dei grossi problemi di manutenzione ai mezzi, c’è una generale tendenza al risparmio”.
Le stazioni della metro per esempio dovrebbero essere, per legge, tutte coperte dal personale. Quando è successo l’incidente alla fermata palasport nel 2015 non c’era nessuno di noi e l’agente di stazione ha dovuto percorre a piedi la galleria che da Laurentina arriva al Palasport per soccorrere la gente. Questo perché siamo pochi. La stazione era scoperta e nessuno ha potuto soccorrere le persone in quell’istante, l’Eur era scoperto”.
“In quell’occasione”, spiega la responsabile, “Atac fu fortunata e andò tutto bene, ma come sarebbe andata altrimenti? Molti degli assunti da Alemanno dovevano essere convertiti in verificatori (controllori), io non ho visto nessuno, mi sembra che il numero sia sempre lo stesso”.
I verificatori, ossia coloro che il programma molto ottimista dell’azienda, avrebbero dovuto risanare i conti della società fermando l’evasione tariffaria del biglietti.
Come la responsabile metro, la pensa anche un autista intervistato da TPI, anch’egli anonimo, che spiega: “Si diceva che si sarebbe arrivati a 350 verificatori, sguinzagliati giornalmente. A me risulta che i verificatori in forza al momento non siano più di 178, ossia quelli che c’erano già prima degli ‘spot’ di Marino e Alemanno”.
“Non è stato fatto nulla, se non di facciata. Dopo lo scandalo di Parentopoli c’erano molte persone che andavano ricollocate in mansioni operative, alcuni hanno anche potuto scegliere il ruolo, anche coloro che avevano perso il loro referente politico. Ma sono stati ricollocati solo per l’opinione pubblica, solo per far vedere che si sta facendo qualcosa”, prosegue l’autista.
“Si è continuato a far lavorare chi già lavora, deve lavorare chi non lavora, non aggiungendo straordinari a noi che siamo sfiancati. A novembre 2016, ad esempio, con la con la giunta Raggi è stata approvata la figura della polizia amministrativa, altre figure che non si sono viste”.
E dunque, se da un lato si tende a inquadrare i problemi dell’Atac nella poca disponibilità a finanziare congruamente la società, dall’altro non è difficile comprendere come non tutti i lavoratori Atac stiano contribuendo a creare profitto.
Oltre il personale mai realmente convertito in mobilità, c’è poi la problematica delle assunzioni che arrivano per agganci politici, per i sindacati e per il dopolavoro.
“Anche il dopolavoro ha fatto man bassa di posizioni lavorative”, racconta l’autista.
“Una politica attuata da tutti. Posso garantire”, spiega l’autista “che ci sono concorsi interni in Atac dove chi ha un aggancio politico sindacale ha un canale preferenziale. Tutti quelli che sono passati, nel 2009, avevano tutti lo ‘sponsor'”.
E poi c’è la problematica di un parco macchine carente con vetture sempre più rovinate e spesso non funzionanti:
“Fino a qualche anno fa, i mezzi avevano meno km ed erano più nuovi. La manutenzione costa e costano anche i pezzi di ricambio. I mezzi stanno molto in giro, abbiamo le vetture contate, ogni deposito ha circa 70 – 80 vetture fuori servizio quotidianamente che non escono proprio. Abbiamo i depositi pieni di vetture inutilizzabili. Se ci fosse un parco macchine in grado di fornire i mezzi sostituitivi non avremmo questi problemi”, spiega l’autista.
“Questo succede quando si prendono vetture in fitto e un manager che gestisce le gare di appalto che non ha la capacità di vincolare le gare di appalto alla manutenzione”.
“Ci sono alcuni guasti inevitabili e quelli dovresti vincolarli alla società che te li fornisce, garantire che ci sia un ricambio, è normale che con le strade che abbiamo a Roma i mezzi arrivino “cotti”.
“Ma Laurentina è lontana da noi, nessuno comprende davvero cosa accade in strada”.
“Anche con la giunta Raggi”, conclude l’autista, “le cose non sono cambiate molto. Avevano detto che sarebbero venuti a parlare con i lavoratori e invece hanno mantenuto sempre gli stessi interlocutori, va bene i rappresentanti sindacali, ma anche noi abbiamo punti di vista diversi, a noi le cose sono andate solo peggiorando”.
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