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Gli assistenti sessuali che aiutano i disabili a vivere l’erotismo

Il diritto alla sessualità e all'affettività è ormai reclamato da molti che, costretti a letto o su una sedia a rotelle, non vogliono rinunciare all'amore erotico

Di Laura Melissari
Pubblicato il 6 Ott. 2016 alle 14:00

Perché nessuno si scandalizza se qualcuno aiuta un cieco ad attraversare la strada, ma si storce il naso all’idea di qualcuno che assista un disabile nel sesso? Il diritto alla sessualità, all’intimità e all’affettività è ormai reclamato a gran voce da molti che, costretti a letto o su una sedia a rotelle, non vogliono rinunciare al piacere dell’amore erotico.

In alcuni paesi esiste una vera e propria figura professionale, l’assistente sessuale, che dopo un’adeguata formazione, aiuta i disabili a soddisfare il proprio desiderio sessuale. Non è affatto vero infatti, come la società è portata a pensare, che un disabile sia asessuato. 

Vivere in ospedale, o in una comunità, ma anche nella propria casa, significa per i disabili meno autosufficienti la totale mancanza di intimità per il sesso, ma anche per la stessa masturbazione. Con la conseguenza che il desiderio sessuale, identico a quello di ogni altro essere vivente, non può essere facilmente soddisfatto. 

Non sono così rare le situazioni, specialmente in passato e in famiglie non abbienti o socialmente in difficoltà, in cui sono le stesse madri a soddisfare personalmente il desiderio dei propri figli, che non possono placare da soli le pulsioni naturali. 

Spesso la figura dell’assistente sessuale, definito anche “accarezzatore” o love giver, è associata a quella di una prostituta. È per questo che in molti paesi come l’Italia, in cui vige la legge Merlin del 1958 con la quale si vieta la prostituzione, non è mai stata fatta una legge ad hoc per legalizzare queste figure professionali. Non ci si può improvvisare assistente sessuale: non è un mestiere facile, dal momento che occorrono professionalità e competenze nell’approccio con le varie disabilità, ma anche e soprattutto empatia e sensibilità.

In Italia un disegno di legge sull’argomento, dal titolo “Disposizioni in materia di sessualità assistita per persone con disabilità”, è stato presentato il 9 aprile di due anni fa e assegnato alla 12esima Commissione permanente (“Igiene e sanita”) in sede referente. 

La battaglia per l’assistenza sessuale dei disabili è stata portata avanti da Maximiliano Ulivieri, affetto da C.M.T.1A., una sindrome neurologica ereditaria a carico del sistema nervoso periferico, da anni in prima linea per il riconoscimento dei “diritti del sesso” per i disabili. In parlamento la battaglia è stata seguita dal deputato PD Sergio Lo giudice.

Il disegno di legge si prefigge di “tutelare il diritto alla sessualità e al benessere psicofisico delle persone disabili a ridotta autosufficienza a livello di mobilità e motilità”, attraverso la predisposizione da parte del ministero della Salute di “un elenco di persone accreditate a svolgere nel territorio regionale la funzione di assistenti per la sana sessualità e il benessere psico-fisico, denominati assistenti sessuali”.

Secondo i parlamentari che l’hanno proposta, la legge deve favorire il pieno sviluppo della persona anche sotto il profilo dell’espressione della sessualità. “I diritti sessuali sono oggi considerati diritti umani, la cui violazione costituisce violazione dei diritti all’uguaglianza, alla non discriminazione, alla dignità e alla salute”, sostengono loro. 

Già nel 1987 la Corte costituzionale aveva precisato che “essendo la sessualità uno degli essenziali modi di espressione della persona umana, il diritto di disporne liberamente è senza dubbio un diritto soggettivo assoluto, che va ricompreso tra le posizioni soggettive direttamente tutelate dalla Costituzione ed inquadrato tra i diritti inviolabili della persona umana che l’articolo 2 Cost. impone di garantire”. È quindi diritto di ogni cittadino avere opportunità e mezzi adeguati per compiere scelte sulla propria sessualità. 

Spesso chi ha una disabilità, di qualsiasi genere, ha difficoltà a intrattenere relazioni affettive, a causa della propria malattia o del proprio aspetto fisico lontano dai canoni estetici dominanti. E spesso vive male anche la sfera dell’autoerotismo, il che in certi casi, ad esempio nei malati psichici, può peggiorare la situazione. È per questo che deve essere lo Stato a tutelare e sostenere chi non può vivere in autonomia la propria sessualità o emotività. 

L’operatore sessuale, previsto dal disegno di legge, ha il compito, “dopo un percorso di formazione di tipo psicologico, sessuologico e medico, di essere in grado di aiutare le persone con disabilità fisico-motoria e/o psichico/cognitiva a vivere un’esperienza erotica, sensuale o sessuale e a indirizzare al meglio le proprie energie interne spesso scaricate in modo disfunzionale in sentimenti di rabbia e aggressività”.

La figura dell’assistente sessuale esiste già in alcuni paesi del nord Europa come Danimarca, Germania, Paesi Bassi, Belgio e anche in Svizzera e Austria. 

La mappa dei paesi europei dov’è presente questa figura professionale:

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