Circa quarant’anni fa un ragazzo lasciava il Pakistan con quattro cianfrusaglie nella sacca, due lire ed una discreta conoscenza del tedesco.
Prese un treno. Ne prese vari. Passò per l’Afghanistan, l’Iran, la Jugoslavia, la Bulgaria, la Turchia. Fece un salto in Inghilterra. Si fermò in Germania, finì in Canada. S’innamorò dell’Italia. Quell’uomo è mio padre.
La storia che sto per raccontarvi è l’origine di un nome, una storia d’amore – ma non di quelle classiche.
Baba, all’anagrafe Arslan, come molti all’epoca, era venuto in occidente per fare fortuna.
Non puntava all’Italia, ma si innamorò del bel tempo e del sorriso delle persone, e sappiamo bene che quando uno si innamora, c’è poco da fare. Rimase qui e cominciò a fare il turno di notte in un garage mentre cercava di capire che fare della sua vita. Un giorno, andando a lezione di chitarra, incontrò Francesco Povia nell’ascensore. Un uomo alto e affascinante, di mestiere faceva il direttore d’orchestra, il compositore e l’insegnante di musica.
“Dovresti suonare il pianoforte. Vieni da me a prendere qualche lezione. A 30 anni potresti diventare direttore d’orchestra pure tu.”
Non era sicuro di voler fare questo nella vita Arslan, ma qualcosa lo portò ad accettare l’invito di quest’uomo così gentile. Chissà cosa.
Tra uno spartito, qualche risata e un paio di concerti, era chiaro che il loro rapporto era diventato qualcosa di più di quello di un maestro ed un allievo, e fu allora che Francesco azzardò la proposta “indecente”:
“So che hai dei genitori in Pakistan, ma in te vedo il figlio che non ho mai avuto. Ti va di continuare il mio nome?”
Vivevano insieme già da tempo. A volte Francesco lo rimproverava, altre lo coccolava, molte gli insegnava i fatti della vita (e qualche nota). Era già suo padre, era questione di formalizzarlo. Con il permesso di Dada-jan e Dadi-jan (i miei nonni biologici), con l’approvazione dell’ambasciata e con la benedizione dei genitori di Francesco, Arslan Haider Shah divenne Arslan Haider Shah Povia.
Mio nonno, o “Babbo” come lo chiamava papà, è stato colui che ha insegnato a mia madre a parlare l’italiano, a mia sorella a suonare il violino, a me ad andare in bicicletta. Colui che ha dedicato infinite filastrocche ai suoi nipotini, che festeggiava con loro la fine del Ramadan ma anche il Natale. Nonno è l’uomo ormai estinto, di un’altra epoca, che non conosceva razzismo e pregiudizi. Nonno è il cristiano che sul letto di morte ha guardato suo figlio musulmano recitare la Surah Yasin e gli ha detto:
“Non cambiare mai la tua religione. È una religione bellissima.”
Nonno è colui di cui porto il nome con orgoglio. È l’italiano di cui si è innamorato mio padre quando ha deciso di rimanere qui. È l’italiano autentico che è impossibile non amare per la sua generosità, ospitalità, e il suo amore incondizionato. Non dimentichiamoci mai di chi siamo.
L’articolo è stato originariamente pubblicato su Yalla Italia – il blog delle seconde generazioni.