Yuri Guaiana è attivista per i diritti Lgbt, e nel 2011 è stato nominato segretario nazionale dell’associazione Radicale Certi Diritti, entrando così nella direzione di Radicali.
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L’11 maggio 2017 si stava recando alla procura generale di Mosca per consegnare le firme raccolte con una petizione contro il trattamento degli omosessuali in Cecenia, ma è stato fermato dalla polizia russa che lo ha condotto in caserma insieme agli altri quattro attivisti ai quali si accompagnava.
Yuri e gli altri ragazzi stavano per consegnare oltre due milioni di firme raccolte online per chiedere l’apertura di un’indagine sulle presunte persecuzioni dei gay in Cecenia. Gli attivisti russi sono Alexandra Aleksieva, Marina Dedales, Nikita Safronov e Valentina Dekhtiarenko.
Yuri è stato poi rilasciato nel primo pomeriggio della stessa giornata e dopo essere stato accompagnato in aeroporto ha fatto ritorno in Italia.
TPI lo ha intervistato per comprendere meglio la dinamica dell’accaduto.
Come vi eravate organizzati per la consegna delle firme?
Ero in compagnia di altri quattro attivisti e avevamo preparato le scatole con le firme raccolte ai primi di aprile provenienti da ben tre organizzazioni internazionali raggiungendo i due milioni di sottoscrizioni. Ma non siamo nemmeno arrivati all’ufficio della procura che la polizia ci ha bloccato.
Cosa è successo?
Quando abbiamo parcheggiato ci eravamo già accorti che c’erano delle camionette della polizia. Mentre percorrevamo la strada a piedi i poliziotti ci hanno fermato, ci hanno perquisito e condotto al cellulare per controllare le scatole. Le hanno requisite anche se contenevano solo fogli e ci hanno trattenuto due ore nella camionetta. Non abbiamo mai, in alcun modo, opposto resistenza.
Pensi che la polizia vi stesse aspettando?
È probabile che fossimo stati segnalati, ma non so dirlo: quando abbiamo visto le camionette abbiamo pensato che le cose non si sarebbero messe bene, nonostante non stessimo facendo nulla che fosse contrario a un banale esercizio di democrazia.
Poi cosa è accaduto?
Ci hanno condotto in caserma e trattenuto lì con l’accusa di “organizzazione e manifestazione non autorizzata” e “resistenza a pubblico ufficiale”. Due capi d’accusa inesistenti. Eravamo cinque persone con delle scatole in mano che riportavano la scritta che chiedeva giustizia per i cento gay torturati in Cecenia, questo è tutto. Qui fare una cosa banale per noi italiani come consegnare le firme di una petizione diventa impossibile perché si parla di omosessuali.
Perché allora hanno avanzato accuse più gravi?
Per una manifestazione non autorizzata il fermo è di 24 ore, ed è prevista solo una multa, mentre con la resistenza a pubblico ufficiale si può arrivare a quindici giorni di detenzione e a multe più elevate. Adesso hanno fissato il processo, ma ora che sono tornato in Italia non rischio più nulla se non una sanzione. Potrebbero inoltre decidere di non farmi più entrare in Russia per un po’, ma è da vedere.
Da quanto tempo state seguendo la questione cecena?
Con l’associazione Certi Diritti seguiamo la vicenda dal 2011, ovvero da quando Putin ha avviato questa svolta autoritaria e San Pietroburgo ha varato, nel 2012, la prima legge contro la propaganda gay. Da allora seguiamo la questione russa e cecena e l’escalation di violenze che si è verificata dal 3 aprile in Cecenia, una cosa talmente grave da farci pensare che dovevamo collaborare maggiormente con i nostri partner russi.
Inizialmente sulla notizia delle epurazioni cecene c’era un po’ di scetticismo…
Noi abbiamo subito verificato la cosa con altre organizzazioni internazionali. Che fossero notizie vere non avevamo dubbi, ci siamo mobilitati subito con una raccolta di fondi e firme per aiutare i ragazzi ceceni a scappare dal paese. Abbiamo anche lanciato un’altra raccolta fondi per contribuire alle multe degli attivisti russi. Volevamo consegnare le firme per attivare un procedimento amministrativo in modo istituzionale, per far acquisire alla procura della repubblica russa questa ulteriore richiesta con un peso politico maggiore.
Non siamo riusciti a farlo, lo faremo via mail. La cosa brutta è che il sistema russo ci ha impedito il dialogo formale su questa vicenda, il che è di una gravità senza precedenti.
Cosa farete adesso?
Sulla persecuzione dei gay in Cecenia stiamo valutando di fare ricorso alla Corte penale istituzionale per crimini contro l’umanità. Abbiamo notizie certe sulla morte di quattro ragazzi ma non su altri casi. Abbiamo però motivo di credere che ce ne siano molte di più. Le incarcerazioni continuano, la Cecenia è diventata ancora più impenetrabile.
Queste persone, anche quando salvate dalle associazioni Lgbt continuano ad essere in pericolo: non possono lavorare e svelare la loro identità. Il rischio è che vengano rispedite nelle famiglie, e in Cenenia il delitto d’onore è ancora consentito. Se le loro generalità venissero diffuse si permetterebbe ai parenti o alle milizie cecene di perseguitarli ancora. Sarebbe urgente attivare i visti agevolati e concedere l’asilo a queste persone che vogliono fuggire.
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