La sua sindrome ha un nome: si chiama Escobar come il famoso narcotrafficante. Iacopo Melio ha 26 anni, abita a Cerreto Guidi, un piccolo comune in mezzo alla campagna fiorentina, con la sorella Costanza e i genitori.
“In questo bellissimo contesto, giusto per non farmi mancare nulla, non potevo che nascere allergico al polline e alle graminacee”.
Per “stanarlo” sono entrata nella sua fan page di Facebook, senza che se ne rendesse conto, in pochissimo tempo sapevo tutto di lui. Mi sono rimasti impressi gli occhi marroni e il suo senso dell’umorismo.
Come Riccardo, Fabio e Ilaria anche lui è uno degli “Gli angeli di Mattarella” intervistati da TPI, i più giovani tra gli “eroi” nominati cavalieri della Repubblica dal Capo dello Stato. Iacopo ha scoperto di essere uno dei trentatrè attraverso i giornali.
“Sono stato chiamato da un noto quotidiano nazionale per rilasciare un commento. Inizialmente non ho capito bene di cosa si trattasse: quando il giornalista, che aveva dato per scontato lo sapessi, mi ha spiegato tutto è stata una bella emozione. Una volta chiusa la chiamata ho controllato i messaggi della mia pagina e ho trovato un sacco di persone che si stavano congratulando con me. Solo in quel momento ho realizzato, trovando finalmente la notizia ufficiale anche su altre testate, quanto era successo”.
Qualcuno lo chiama “giornalista” (scrive online soprattutto per Fanpage.it), altri lo definiscono “scrittore” (ha pubblicato due libri) oppure “attivista” (cerca di girare il più possibile tra conferenze pubbliche e incontri nelle scuole per parlare ai ragazzi), ma lui preferisce chiamarsi “racconta storie”.
Mi parla della sua infanzia normalissima, anche se a differenza della maggior parte dei bambini, si è dovuto sottoporre ai ricoveri e alle operazioni chirurgiche.
“La disabilità ha sempre fatto parte di me, non sono un “incidentato” che diventa disabile dopo essere nato. Per me questa è la mia normalità, con i suoi alti e i suoi bassi, ma ho sempre vissuto la mia vita e le sue conseguenze nel modo più naturale possibile”.
Mi racconta che i momenti di imbarazzo quotidiani non mancano, ma sono dovuti per lo più ad atteggiamenti legati a pregiudizi e stereotipi riguardanti la disabilità.
Si muove “virtualmente”, attraverso Internet, l’unico posto senza barriere, dove chiunque può essere ovunque con un solo click e dove si può comunicare a un pubblico infinito. Grazie alla rete e ai social network riesce a entrare in contatto con gli altri.
“Uso il “virtuale” per abbattere, oltre agli stereotipi e i pregiudizi, le distanze. Grazie a internet posso partecipare a conferenze e incontri pubblici o nelle scuole, in quei luoghi dove fisicamente non potrei andare perché troppo lontani o inaccessibili per un disabile”.
Mi racconta che non ha una giornata tipo. Lavora prevalentemente da casa e altre volte nel suo ufficio. Iacopo ha una Onlus che si chiama #Vorreiprendereiltreno, nasce come campagna mediatica per sensibilizzare le persone alla disabilità facendo informazione e divulgazione. Dopo quattro anni è diventata un canale per promuovere e realizzare idee e progetti in grado di abbattere, sul territorio, le barriere architettoniche e culturali.
Fino a tre anni fa, Iacopo, frequentava l’università. “Avevo ritmi molto meno flessibili e più scanditi, in un certo senso era meglio perché con l’organizzazione sono un vero disastro da buon procrastinatore seriale. Adesso mi manca l’ultimo esame da non frequentante perciò non vado praticamente mai all’università se non per incontrare qualche vecchio amico e fare vita sociale”.
Alla domanda di come si immagina la premiazione, mi risponde “sicuramente un’esperienza ricca di emozioni. Ancor più bello sarà condividere questo riconoscimento con altre persone che, nella loro vita, portano avanti battaglie altrettanto importanti con determinazione. Sarà un momento molto incoraggiante, per ricordarsi che sebbene ci sia ancora tanto da fare per ottenere una società su misura di tutti non si è comunque soli a sognarla”.
Il suo obiettivo nella vita “è costruire il proprio futuro in modo più libero e indipendente possibile, figuriamoci per un disabile che deve sempre o spesso, dipendere da qualcuno. Spero di potermi rinnovare ogni giorno, vorrei fare esperienze, sperimentare, lavorare il più possibile e guadagnarmi una stabilità non tanto economica, ma soprattutto logistica e pratica, magari andando a vivere da solo e provando a costruirmi una famiglia”.
Gli chiedo tra dieci anni dove si vede, mi risponde che non lo sa e che non vuole pensarci.
“Ognuno di noi è prima un nome e una persona, non certo la sua cartella clinica oppure le sue ruote, così come nessuno è il suo paio di scarpe. Perché non importa come ti sposti, l’importante è non restare fermi”.