“Mafia. Che parolone. Ci guardiamo attorno e ne sentiamo sempre l’eco. Nelle nostre orecchie il nome di Paolo, Giovanni, Peppino, Pietro, Rosario: nomi di quanti hanno lottato e hanno perso la loro vita per la nostra libertà. Sì, per permetterci di essere liberi, senza la paura di vivere liberamente”. Comincia così il discorso di un gruppo di studenti di una scuola di Canicattì, in provincia di Agrigento, che ha commosso tutti.
Lo sanno bene che cos’è la mafia, quei ragazzini. E lo spiegano: le radici affondano nella Sicilia borbonica, ma oggi la mafia è un’altra cosa. “Oggi la mafia siamo noi”, dice cruda, diretta una ragazzina con la voce ferma: “Siamo noi, che con il nostro atteggiamento omertoso la alimentiamo”.
“La mafia è chiamata anche Cosa nostra? Ma vogliamo scherzare? Non è cosa loro, noi non accettiamo la loro presenza”, aggiunge ancora.
“Noi amiamo la nostra Terra e abbiamo il diritto di proteggerla da questi uomini. Uomini, che poi non sono uomini. Per non dimenticare gli orrori della mafia, per non dimenticare i piccoli morti come Giuseppe Di Matteo, abbiamo il dovere di sapere. Solo la conoscenza, solo il sapere ci rende liberi”, continua ancora con una consapevolezza che in pochi adulti hanno.
“Noi vogliamo essere liberi di vivere, liberi di denunciare ogni sopruso e non svendere la nostra dignità.
Per non morire di mafia, mai più in silenzio. Noi giovani dobbiamo sensibilizzare le coscienze di chi non ha il coraggio di dire basta, non rendiamo vano il sacrificio di Giovanni, di Peppino, di Paolo, lo dobbiamo a loro, a noi, ai nostri figli. Noi siamo siciliani e siamo fieri di esserlo”, aggiunge ancora.
“La nostra Sicilia è terra di profumi, di odori, di amore. Non è terra di mafia. Mafia, nome singolare femminile. E noi come donne siamo in grado di distruggere questa ragnatela, la forza della donna non conosce limiti”, conclude la ragazzina, tra gli applausi scroscianti e le note di Nuvole Bianche di Ludovico Einaudi che, potenti, accentuano l’emozione di quelle parole.