Nel primo quadrimestre del 2015 in Antartide si sono registrate le temperature medie più alte di sempre e da gennaio si sono verificate eccezionali ondate di calore in diverse parti del mondo, tra cui Alaska, Europa e India.
Secondo i dati del Centro di Ricerca (Cred) dell’Università di Leuven sull’epidemiologia dei disastri, l’ultima ondata di caldo che ha colpito gli stati dell’India centro-settentrionale è stata la quinta al mondo per il tasso di mortalità. La più letale mai registrata è avvenuta in Europa nell’estate del 2003, uccidendo più di 71mila persone.
Il 7 e l’8 giugno del 2015, al G7 di Elmau, in Germania, è stato raggiunto un accordo sul clima. I leader delle principali potenze mondiali hanno deciso di impegnarsi a contenere l’innalzamento della temperatura globale entro il limite di due gradi rispetto ai livelli preindustriali.
L’accordo prevede anche una riduzione tra il 40 e il 70 per cento delle emissioni di anidride carbonica rispetto a quelle del 2010 entro il 2050. L’obiettivo è quello di fare un fronte comune alla conferenza sul clima che si terrà a Parigi il prossimo dicembre.
Cosa comportano due gradi in più e il superamento di tale soglia?
Lo spiega Jeffrey Sachs, direttore dell’Earth Institute della Columbia University, esaminando il report sui cambiamenti climatici diffuso dal governo britannico nel 2006, in cui si cercano di prevedere gli effetti dell’innalzamento della temperatura media.
Secondo Sachs, basta un grado per comportare un impatto significativo sulla produzione di cibo nella regione del Sahel, situata nell’Africa occidentale, sotto il deserto del Sahara.
Un grado in più può danneggiare gli ecosistemi delle barriere coralline e determinare lo scioglimento dei ghiacciai minori, minacciando la disponibilità idrica in diverse aree geografiche.
Questi effetti sono evidenti. In regioni già drammaticamente alle prese con l’assenza di risorse primarie per la vita dell’uomo, la siccità sempre più grave ha fatto diminuire la disponibilità di cibo, favorendo la nascita di conflitti e gli esodi di interi popoli.
L’aumento di due gradi della temperatura media comporterebbe l’estremizzazione dei fenomeni precedenti, con profonde ripercussioni sulla produttività agricola mondiale, specialmente nelle regioni tropicali e sub-tropicali, dove si concentrano i principali granai del pianeta.
Il superamento di tale soglia sarebbe catastrofico. Quattro gradi in più porterebbero al declino generalizzato della produzione alimentare e alla scomparsa dei ghiacciai.
Le precipitazioni distribuite durante l’anno diminuirebbero in molte regioni per dar spazio a frequenti eventi estremi, come massicce onde di calore, siccità, alluvioni e cicloni tropicali d’intensa portata.
L’aumento di cinque o più gradi significherebbe l’innalzamento del livello del mare, che metterebbe a rischio le principali città mondiali: Londra, Shangai, New York, Tokyo e Hong Kong.
Lo scioglimento totale dei ghiacciai potrebbe comportare il distacco di enormi pezzi dalla parte occidentale dell’Antartide e della Groenlandia, con il conseguente innalzamento del mare di molti metri.
Questo riporterebbe l’acqua in territori già occupati dal mare decine di migliaia e centinaia di migliaia di anni fa, con la differenza che un tempo le zone costiere non erano abitate da milioni di persone concentrate in grandi metropoli.
L’accordo raggiunto al G7 lo scorso 8 giugno, per contenere l’innalzamento delle temperature medie entro i due gradi rispetto alla condizione pre-industriale, rappresenta un progresso rispetto agli anni passati.
È un primo passo che consente di arrivare con un fronte unito alla conferenza sul clima che si terrà a Parigi il prossimo dicembre, ma comporta la necessità di preparare la popolazione a una fase di cambiamento.
Sarà necessario proteggere le città da eventi meteorologici sempre più estremi e salvaguardare la continuità della produzione alimentare. Ora sono fondamentali rapidità e concretezza, per assicurare il rispetto dell’accordo e contenere gli effetti del surriscaldamento globale.