Sta facendo molto discutere l’ultima campagna contro l’aborto lanciata dall’associazione CitizenGo Italia.
L’organizzazione ha affisso su alcune strade di Roma dei manifesti con la scritta choc: “L’aborto è la prima causa di femminicidio”.
La rete femminista Rebel Network ha chiesto alla sindaca della capitale, Virginia Raggi, la rimozione dei manifesti, definendo gli autori dell’affissione un gruppo “pro-odio” e “contrario alla libera scelta delle donne”.
I manifesti sono stati affissi in vista della Marcia per la Vita, in programma sabato 19 maggio 2018 a Roma.
Filippo Savarese, direttore delle campagne di CitizenGo Italia, ha dichiarato alla Rai: “Negli ultimi anni le istituzioni hanno denunciato con sempre maggior forza il fenomeno dei ‘femminicidi’ e della violenza sulle donne, ma ci si dimentica di dire che la prima causa di morte per milioni di bambine (così come di bambini) nel mondo è l’aborto, che provoca anche gravissime conseguenze psicologiche e fisiche per le donne che lo praticano”.
La presidente del secondo municipio, Francesca Del Bello, e le assessore Lucrezia Colmayer e Cecilia D’Elia hanno commentato, sostenendo che i manifesti lanciano un “messaggio che offende le donne proprio alle porte del quarantennale di una legge importante che ha dimostrato di poter contrastare la clandestinità e le morti ad essa legate”.
“Possibile che il comune autorizzi tale oscenità? Chiediamo all’assessora Marzano di intervenire tempestivamente”, sottolineano dal secondo municipio romano.
La campagna da parte di CitizenGo Italia è iniziata proprio a qualche giorno dal quarantennale dell’approvazione della legge 194, che ha introdotto e disciplinato in Italia l’interruzione volontaria della gravidanza.
Le legge venne firmata il 22 maggio 1978.
Prima di allora, l’interruzione volontaria di gravidanza era considerata un reato penale.
Attualmente in Italia i metodi per procedere con l’aborto sono due: tramite intervento in una struttura pubblica, o con la pillola RU-486, un trattamento non invasivo che prevede, tramite l’assunzione della pillola e la reazione chimica ad essa dovuta, il distacco del feto dall’utero.
Tutt’ora l’aborto in Italia rappresenta un tema al centro dibattiti: infatti praticarlo non è semplice in quanto la percentuale di medici ginecologi obiettori in Italia è salita al 71 per cento.
L’11 aprile 2016, il Comitato europeo dei diritti sociali, un organismo del Consiglio d’Europa, ha condannato l’Italia per aver violato il diritto alla salute delle donne che vogliono abortire, riconoscendo che esse incontrano “notevoli difficoltà” nell’accesso ai servizi d’interruzione di gravidanza, anche per l’alto numero di medici obiettori di coscienza.