È successo a Alessandria, in Piemonte. Una coppia, con già un figlio, decide di interrompere una seconda gravidanza in corso ma, a causa di un errore medico, l’intervento non va a buon fine e la donna scopre di essere ancora incinta. Ormai aveva superato i termini consentiti dalla legge per abortire.
Questa notizia puoi leggerla direttamente sul tuo Messenger di Facebook. Ecco come
Il caso risale a 18 anni fa, ma la Cassazione ha deciso pochi giorni fa di risarcire anche il padre.
La madre aveva già chiesto il risarcimento alla struttura ospedaliera di Alessandria e l’assicurazione le liquidò 125 mila euro.
I coniugi in questione si trovavano in condizioni economiche difficili e si sentivano una coppia ormai di un’età troppo avanzata per affrontare la nascita di un nuovo figlio. Motivo per cui, nel 2000, decisero di affrontare l’intervento per l’interruzione della gravidanza all’ospedale San Antonio e Biagio e Cesare Arrigò di Alessandria.
La donna si sottopose a raschiamento uterino, la procedura ginecologica per l’asportazione del prodotto del concepimento, ma l’intervento non venne eseguito correttamente e la gravidanza proseguì, si arrivò alla “nascita indesiderata di una bambina”.
Anche il padre si rivolse al Tribunale sostenendo che dopo la nascita indesiderata del secondo figlio, i problemi in famiglia sono continuati.
La moglie lasciò il lavoro e lui presentò le dimissioni per ottenere il Tfr (Trattamento di fine rapporto, liquidazione) per “provvedere ai bisogni familiari”. Inoltre cambiarono città e l’uomo trovò un altro impiego.
Il ricorso del padre venne negato sia in primo grado dal Tribunale di Alessandria nel 2012 e, l’anno successivo, lo stesso fece la Corte di Appello di Torino respingendo il reclamo.
La Suprema Corte però dichiara carenti le motivazioni dei giudici dei precedenti gradi di giudizio perché non hanno tenuto in considerazione l’espressa volontà da parte di entrambi i genitori di interrompere la gestazione e dà ragione al padre.
La sentenza della Cassazione
A seguito della nascita di un figlio per un errore diagnostico, l’indennizzo spetta a entrambi i coniugi, non solo alla madre.
“La gestazione era andata avanti contrariamente alla palesata volontà sua e della moglie, in considerazione della loro età avanzata e della presenza di un altro figlio; per quell’evento la moglie aveva dovuto lasciare il lavoro e dedicarsi alla neonata; lui stesso aveva dato le dimissioni per ottenere il Tfr maturato e provvedere ai mutati bisogni della famiglia”.
Inoltre il marito ha dovuto “sostenere le spese per il sostentamento della minore ed era stato costretto a trasferirsi in un’altra città dove aveva faticosamente dovuto cercare una diversa attività lavorativa”.
“In tema di responsabilità del medico per erronea diagnosi concernente il feto e conseguente nascita indesiderata, il risarcimento dei danni che costituiscono conseguenza immediata e diretta dell’inadempimento della struttura sanitaria all’obbligazione di natura contrattuale spetta non solo alla madre ma anche al padre”.
“Il padre deve considerarsi tra i soggetti protetti e, quindi, tra coloro rispetto ai quali la prestazione mancata o inesatta è qualificabile come inadempimento, con il correlato diritto al risarcimento dei conseguenti danni, immediati e diretti, fra i quali deve ricomprendersi il pregiudizio di carattere patrimoniale derivante dai doveri di mantenimento dei genitori nei confronti dei figli”.
Cosa prevede la legge sull’aborto in Italia
L’Interruzione Volontaria di Gravidanza (IVG) in Italia è regolata dalla legge n. 194 del 22 maggio 1978.
Prima di allora, l’interruzione volontaria di gravidanza era considerata un reato penale.
Tramite questa legge si è stabilito che una donna può abortire in una struttura pubblica entro i primi 90 giorni, entro il quarto o quinto mese se si tratta di aborto terapeutico.
Dopo il colloquio, il medico rilascia un certificato ed è prevista una pausa di riflessione di sette giorni, per valutare con calma se procedere o meno con l’interruzione.
Oltre la dodicesima settima si può ricorrere all’aborto terapeutico solo se la gravidanza o il parto comportano un grave pericolo per la vita della donna, o quando sono accertati processi patologici (rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro) che possano determinare un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna.
- entro le prime 8 settimane di gravidanza si può procedere con l’isterosuzione, intervento ginecologico che prevede l’aspirazione effettuata mediante una cannula dell’embrione e dell’endometrio.
- dall’ottava alla dodicesima settimana si predilige il cosiddetto “raschiamento” uterino: la dilatazione meccanica del canale cervicale e la revisione e svuotamento della cavità uterina.
- a partire dal 2010, anche in Italia è possibile interrompere la gravidanza anche con il metodo farmacologico della pillola abortiva RU486. La cui somministrazione è consentita però non oltre la settima settimana di gravidanza, cioè 49 giorni dall’ultima mestruazione.
Il numero degli aborti in Italia
Secondo l’ultima Relazione del Ministro della Salute sull’attuazione della legge sull’aborto, il numero degli aborti in Italia è calato.
La Relazione del Ministero è stata trasmessa al Parlamento il 29 dicembre 2017.
Dai dati emerge che anche nel 2016 prosegue l’andamento in diminuzione del fenomeno, anche se in entità minore rispetto agli anni precedenti.
Lo scorso anno, infatti, il numero delle interruzioni volontarie di gravidanza è stato pari a 84.926, una diminuzione del 3.1% rispetto al dato del 2015, quando ne erano state registrate 87.639.
Gli aborti si sono quindi più che dimezzati rispetto alle 234.801 del 1982, anno in cui si è riscontrato il valore più alto in Italia.